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Sette film per ricordare il genio di Nanni Loy

“Scusi, posso fare la zuppetta?”. Sembrava uno scherzo, invece era un’operazione culturale. Nel 1964 Nanni Loy piazzava una macchina da presa nascosta e si metteva a provocare sconosciuti per strada. Ne usciva Specchio segreto, una delle prime trasmissioni italiane di candid camera, ma con l’anima di un’indagine sociologica. Non un gioco, ma una mappa emotiva…
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“Scusi, posso fare la zuppetta?”. Sembrava uno scherzo, invece era un’operazione culturale. Nel 1964 Nanni Loy piazzava una macchina da presa nascosta e si metteva a provocare sconosciuti per strada. Ne usciva Specchio segreto, una delle prime trasmissioni italiane di candid camera, ma con l’anima di un’indagine sociologica. Non un gioco, ma una mappa emotiva del Paese. Gli italiani ridevano, sì, ma ridevano di se stessi, e Loy stava lì, dietro l’angolo, a prendere appunti con lo sguardo tagliente di chi ama e disprezza in egual misura la sua gente.

L’artista

Cagliaritano di nascita, romano d’adozione, Nanni Loy è stato un artista multiforme: regista, sceneggiatore, attore, conduttore radiofonico e, prima ancora, assistente di Luigi Zampa. Oggi, a cento anni dalla nascita (era nato il 23 ottobre 1925) e a trent’anni dalla morte (avvenuta a Fregene il 21 agosto 1995), Rai 3 gli dedica una retrospettiva. Sette film in onda tra fine luglio e metà agosto per riscoprire un gigante che il nostro Paese troppo spesso ha dimenticato.

Tra Sordi e Manfredi

Loy esordisce al cinema con Parola di ladro (1957), scritto insieme a Gianni Puccini. Ma è L’audace colpo dei soliti ignoti (1959), sequel del capolavoro di Monicelli, a farlo esplodere. Scritto con Age & Scarpelli, è uno dei primi esempi di commedia all’italiana in cui si avverte qualcosa di più cupo sotto la risata: il disagio sociale, la marginalità, la disperazione travestita da farsa. Con Un giorno da leoni (1961) e Le quattro giornate di Napoli (1962), Loy abbandona la leggerezza per raccontare la Resistenza e l’epopea partenopea contro l’occupazione tedesca.

Il secondo film ottiene due Nastri d’Argento, un premio al Festival di Mosca e una candidatura all’Oscar. Ma il suo talento è nel riuscire a tornare alla commedia senza mai abbassare il tiro. Made in Italy (1965), Café Express (1980), Mi manda Picone (1984) – con un Giancarlo Giannini meraviglioso – sono ritratti feroci e poetici di un’Italia che cambia faccia ma resta sempre uguale. Al suo fianco, sempre, gli attori migliori: Nino Manfredi, Alberto Sordi (indimenticabile in Detenuto in attesa di giudizio), Lina Sastri, Paolo Villaggio. Ma la vera protagonista è l’Italia, vista dal treno in seconda classe, spiata dal bar di stazione, sbirciata dietro una porta socchiusa.

La tv un teatro della verità

Nel 1977 Loy torna alla candid camera con Viaggio in seconda classe, spostando l’attenzione sui treni italiani e i loro passeggeri. Stavolta, a farsi carico del compito di “provocare” sono una squadra di attori e autori: Giorgio Arlorio, Fernando Morandi, Anna Altomare. Ma l’idea è sempre la stessa: far parlare l’Italia, sorprenderla mentre si guarda allo specchio. Con le sue contraddizioni, i suoi tic, la sua profonda umanità. Anche la radio lo accoglie: è due volte conduttore di Voi ed io, storico programma mattutino.

Il suo ultimo lavoro è A che punto è la notte (1994), miniserie con Marcello Mastroianni tratta da un giallo di Fruttero e Lucentini. Un’uscita in punta di piedi, come un sipario che si chiude sul volto di un artista che ha fatto ridere, pensare, arrabbiare. Il suo cinema torna oggi in tv, quasi sottovoce, nei palinsesti estivi di Rai 3. Ma forse è proprio così che Nanni Loy avrebbe voluto: tra il frastuono delle vacanze e il rumore di fondo dell’Italia, una macchina da presa invisibile che ci guarda ancora.

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