C’è un momento, nella vita degli attori, in cui il teatro smette di essere un luogo esterno e diventa una stanza privata, un perimetro in cui le identità si sfiorano e si confondono. Per Sabrina Knaflitz questo momento coincide con «Ubi Maior», il dramma familiare scritto da Franco Bertini e diretto da Enrico Maria Lamanna in cui interpreta una donna costretta a fare i conti con un cambiamento inatteso e con la fragilità dei legami più intimi.
Accanto a lei, sul palco, c’è suo figlio Leo Gassmann: un incontro artistico che amplifica ogni gesto, ogni silenzio, ogni minima incrinatura emotiva del testo. Una storia di maschere che cadono, di verità che reclamano il loro spazio, di famiglie che somigliano più a specchi che a rifugi. È in questo territorio incerto, tra tenerezza e disvelamento, che Knaflitz si muove con una naturalezza antica. «Ubi Maior» sarà in scena oggi al Teatro Comunale di Massafra, domani al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di San Severo e sabato al Teatro Rossini di Gioia del Colle, per le stagioni organizzate dai Comuni in collaborazione con Puglia Culture.
Un dramma familiare che mette a nudo fragilità e legami che sembrano indistruttibili. Come è arrivato questo testo e cosa l’ha colpita della storia di Lorena?
«Il testo lo ha scritto Franco Bertini pensando a me e a Leo, mio figlio. È una storia che parla di una famiglia in cui nessuno è come sembra. Lorena, il mio personaggio, sta attraversando un momento di profondo cambiamento personale che non ha ancora rivelato né al marito né al figlio. Per una serie di eventi sarà costretta a togliersi la maschera. Ma anche il padre di Tito ha i suoi problemi da affrontare. E Tito – interpretato da Leo – si ritrova a gestire le complicazioni create dai propri genitori. C’è poi un quarto personaggio importante, questa misteriosa amica interpretata da Barbara Begala, che avrà un ruolo decisivo. È una commedia di situazione: il pubblico ride molto, ma assistendo anche alla caduta delle maschere, come spesso accade nelle famiglie».
Nelle relazioni intime è meglio proteggere chi si ama nascondendo una parte di sé, oppure la verità resta sempre la scelta migliore?
«Credo che i legami familiari e quelli dell’amicizia vera meritino libertà e verità. Essere veri significa essere liberi. E spesso chi ti ama davvero ti ama ancora di più quando gli mostri le tue fragilità. Solo quando l’altro vede chi sei davvero, e non chi vorrebbe che tu fossi, può amarti pienamente».
Lorena nello spettacolo è una madre e una donna che cambia profondamente.
«Lei non si riconosce più in ciò che è stata. Personalmente penso che dobbiamo vivere il presente: il passato serve a conoscersi meglio, a migliorarsi, ma non deve condizionarci; il futuro non possiamo controllarlo. È il presente che conta».
Oggi vive il teatro, ma lei ha una lunga carriera al cinema. Penso al successo de «I laureati» di Pieraccioni. Che ricordo ha di quel set?
«Un ricordo meraviglioso. Era il primo film di Leonardo Pieraccioni e fu un successo incredibile. Dal provino capimmo subito che c’era sintonia: ci divertimmo tantissimo. Sul set si respirava un’aria da scampagnata, di giovani che non vedevano l’ora di girare. C’erano Gianmarco Tognazzi, Rocco Papaleo, Maria Grazia Cucinotta… molti sono diventati amici anche nella vita. Era estate, era bello: una gioia pura».
Che effetto le fa vedere suo figlio Leo in scena accanto a lei?
«Sul palco ti dimentichi che è tuo figlio: è un attore come gli altri e sei completamente nel personaggio. Però la sintonia c’è, come nella vita, e credo che il pubblico la percepisca. È il suo debutto teatrale e affronta il ruolo con maturità: un campione olimpico che improvvisamente deve fare i conti con i problemi della vita reale, per i quali non esiste un allenatore. Vederlo crescere artisticamente è una soddisfazione enorme. È un ricordo che custodirò per sempre: ha debutto in teatro con me. Non riesco a immaginare qualcosa di più bello».
Poi è arrivata anche la notizia della sua presenza tra i «big» di Sanremo. Come ha reagito?
«È pura felicità. Per un cantante Sanremo è importantissimo: è la festa della musica italiana, un orgoglio del Paese. Ho cercato di non farmi troppe domande, ma certo me lo auguravo».
E per la sua carriera, cosa si augura oggi?
«Vorrei continuare a fare teatro, che amo profondamente. Ma mi piacerebbe molto tornare al cinema, con un ruolo giusto per me, in sintonia con le mie corde. È da un po’ che non lo faccio e sento il desiderio di rimettermi in gioco. Quando hai davvero voglia di fare qualcosa, sei anche pronto».
Perché negli ultimi anni si è allontanata dal cinema?
«È stata una scelta serena. Ho voluto dedicarmi a mio figlio e il teatro permette un impegno diverso. Ora ho più tempo e più spazio, ed è tornato il pensiero: mi piacerebbe fare un bel film. Ci sono tanti registi con cui sarebbe bellissimo lavorare: Sorrentino, Garrone, Virzì, Paola Cortellesi… e potrei continuare a lungo. Il cinema italiano sta vivendo un momento di grande crescita e, da attrice e spettatrice, mi piacerebbe rimettermi in gioco».