Un lungo applauso al Petruzzelli per l’anteprima internazionale di Roberto Faenza con il suo “Hill of Vision” con Laura Haddock e Francesco Montanari. Un bambino povero che nella piena maturità raggiunge l’apice del successo conquistando, nel 2007, il trionfo del Premio Nobel per la Medicina. La vita di Mario Capecchi, una vita da film.
Roberto Faenza, una trama così tanto affascinante e coinvolgente perché nasce da una dura realtà? Quindi è vero che la realtà spesso supera la fantasia?
«Si, una vita straordinaria, così eccezionale da non sembrar vera e invece tutto è davvero accaduto. Un bambino che sotto le bombe della seconda guerra mondiale vive per diversi anni da solo, abbandonato tra le montagne del nord Italia, alla ricerca di cibo e completamente analfabeta. Nella sua vita non è mai andato a scuola ed era destinato a chiedere l’elemosina. Poi d’improvviso e miracolosamente la madre, americana e antifascista, torna dalla terribile prigionia e lo porta via con sé, oltreoceano»
Prima di arrivare agli anni della rinascita, se pur molto faticosi, accanto e con l’aiuto degli zii americani, può dirci in quale misura il regista Faenza si è accostato a quella vicenda inizialmente così dolorosa?
«Direi che mi ha commosso da subito; una storia talmente incredibile che nel momento in cui diventa credibile la si può raccontare al meglio. Un bambino che da solo affronta delle esperienze terribili, che vive per strada chiedendo l’elemosina e che riesce poi a rialzarsi».
Torniamo quindi agli anni in cui, durante la pubertà, il giovane Capecchi arriva in America
«Continua ad essere un bambino disadattato perché non sa l’inglese e non ha alcuna nozione di cultura, viene rifiutato dalle scuole e non riconosce quel Paese come il suo. Ha però il conforto dei parenti e, nonostante tante difficoltà, non si abbatte e cerca sempre una via d’uscita»
E’ un incitamento a farcela?
«Credo che questo sia un film molto adatto ai ragazzi, un grande esempio per le nuove generazioni; un modo di confrontarsi con realtà durissime. Il messaggio è quello di resistere, sempre, e la vita di Capecchi ha a che fare con il futuro».
Cosa intende dire esattamente?
«Siamo in un periodo di guerra con una prospettiva di futuro alquanto difficile e bisogna avere la forza di farcela nonostante l’inferno che vediamo intorno a noi. Ci arrivano dalle zone interessate immagini e storie terrificanti e dobbiamo resistere».
Il genetista Mario Capecchi, classe 1937, è rimasto a Bari per assistere al film sulla sua vita e, sempre al Petruzzelli, ha incontrato un pubblico soprattutto di giovani in una conversazione con Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia.










