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Cultura e Spettacoli

Paola Barale si confessa: «A teatro ho due mariti. Il vero amore? Non ha confini»

Ho appena concluso la tournée di Tris di cuori, una commedia brillante, ironica e non così distante dalla vita vera. In scena ero Maria Teresa, una scrittrice di romanzi che ama due uomini diversi. Anzi, di più: se li sposa entrambi. Uno è Giorgio, professore tutto d’un pezzo, interpretato da Simone Montedoro, sposato con Maria. L’altro è Denny, musicista scapestrato, interpretato da Mauro Conte, sposato con Teresa. Lei li ama, entrambi, sinceramente. E proprio non riesce a scegliere. Un’eterna indecisa? No. Una che prova a vivere tutto. Un po’ come me, forse con più coraggio sentimentale. A vederla da fuori sembra un po’ eccentrica: due mariti, una doppia vita, un doppio carico emotivo. Ma sul palco, ogni sera, Maria Teresa mi ha sorpreso. Mi ha divertito, mi ha fatto pensare, a volte mi ha spiazzata. Forse perché in lei riconosco tutte le donne che non si vogliono accontentare. Quelle che l’amore lo vogliono, ma a modo loro. Quelle che, davanti alla domanda “Chi scegli?”, rispondono “Perché scegliere?”.

Il triangolo no

A dirla tutta, non ho mai vissuto un triangolo. Ma Tris di cuori, che parla di poliamore e non di tradimenti, apre nuovi orizzonti: sia per chi lo interpreta, sia per chi lo guarda. Mi sono chiesta: uomini? Forse meglio averne due? Uno solo non basta per avere un rapporto perfetto? In definitiva, forse non è poi una soluzione così sbagliata. A patto che sia una scelta condivisa da tutte le parti coinvolte.

Tagliare in amore

I tradimenti, oggi, mi sembrano cose da poveri d’animo. Un tempo, forse, li ho giustificati. Ma ora no. Lasciarsi, se non funziona, è un atto d’onestà e di coraggio. In amore ho imparato a tagliare, anche quando fa male. E se c’è una cosa che non sopporto più: il perdono a tutti i costi. Perdonare va bene, ma a volte significa solo prolungare il dolore. E io, oggi, non ho più voglia di collezionarne altri.

Il teatro

Provo a fare quello che mi fa stare bene. Teatro, amici, viaggi. Assecondo la mia anima gitana, che ritrovo tantissimo nei ritmi della tournée. Ogni volta che siamo arrivati in una nuova città e il teatro ci ha accolti per le prove, ho visto la scenografia già montata e mi ha preso una sensazione familiare, quasi dolce. Ogni palco diventa casa. Una casa mobile, che viaggia con me. E che, in fondo, somiglia molto al sogno che da tempo coltivo: vivere in camper, con la libertà di cambiare orizzonte, ma portandomi dietro quello che conta davvero per me e ovviamente RoSita, la mia chihuahua. Il teatro mi entusiasma. Mi ha regalato una forma nuova di felicità e di espressione. È disciplina, fatica, adrenalina pura. Ogni sera, sul palco, cambia qualcosa.

Il legame col pubblico

Il pubblico ha i suoi ritmi: a volte si entra subito in sintonia, altre volte ci vuole più tempo. Ma quando quella connessione scatta, è pura magia. Un’energia che continua anche fuori scena. Quando si spengono le luci, ti strucchi, ti rivesti da “persona comune” e trovi, fuori dal camerino o dal teatro, chi ti aspetta per dirti “grazie”, per condividere un’emozione, per chiederti un autografo su una locandina o su una foto stampata con cura. Un gesto semplice, discreto, ma pieno di senso. È calore umano, diretto, sincero. “Tris di cuori”, scritto e diretto da Toni Fornari, non è solo una commedia sulle storie poliamorose. È una storia di scelte, di possibilità, di coraggio. E se anche solo uno spettatore è tornato a casa pensando che si può essere felici anche fuori dagli schemi, allora abbiamo fatto centro. E io, ogni sera, ancora ringrazio per questo piccolo miracolo.

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