Risalgono a 350mila anni fa le testimonianze umane scoperte nella Grotta Romanelli, vicino Castro, nel Leccese, più antiche dei primi Neanderthal: a indicarlo sono le nuove analisi dei sedimenti realizzate da un gruppo di guidato da Pierluigi Pieruccini dell’Università di Torino con la partecipazione dell’Università Sapienza, Statale di Milano e Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igag).
Lo studio pubblicato su Nature Reports sposta indietro di oltre 200mila anni la presenza umana nella grotta dove si conservano forme d’arte, reperti archeologici e segni di sepolture.
La scoperta di tracce di presenza umana nella Grotta Romanelli risale alla fine dell’800 e da allora numerose indagini hanno permesso di scoprire tracce di fasi differenti del passaggio dell’uomo preistorico, una grande varietà di ritrovamenti e segni tra cui alcune pitture sulle pareti e segni di sepolture.
Testimonianze preziose sulla diffusione della presenza umana nel Mediterraneo e che si riteneva finora risalissero a 125mila anni fa.
«Già da alcuni anni erano emersi vari dubbi riguardo alla datazione di questa prima occupazione umana – ha spiegato all’agenzia di stampa Ansa Ilaria Mazzini, ricercatrice del Cnr-Igag di Montelibretti – abbiamo così fatto nuove indagini e realizzato analisi su campioni». Intuizione confermata che ha permesso di retrodatare di molto la presenza umana fino a 350mila anni fa, ossia molto prima che comparissero in Italia i primi Homo sapiens che i Neanderthal.
«Non possiamo sapere al momento quali umani possano aver iniziato l’occupazione della grotta, l’unica certezza – ha aggiunto Mazzini – è che gli esseri umani che la frequentarono agli inizi siano precedenti alle più antiche testimonianze certe di Neanderthal in Italia. Sarebbe bellissimo se potessimo scoprirlo con i prossimi scavi».
Le nuove scoperte confermano quindi la rilevanza di questo sito nel cercare di definire la presenza umana nella penisola che all’epoca era certamente popolata dall’Homo heidelbergensis, come dimostra il sito di Isernia risalente a circa 700mila anni fa.