Jim Morrison diceva che un giorno anche la guerra s’inchinerà al suono di una chitarra. Al Medimex ’25, durante il panel “La musica salverà il mondo?”, è sembrato possibile crederci. Sul palco, voci diverse e visioni affilate: Don Letts, Ghemon, Anna Castiglia, Michele Riondino e Diodato. Proprio lui, cantautore tarantino, ha deciso quest’anno di mettersi dietro le quinte, firmando una rassegna dedicata alle rotte musicali del Mediterraneo, che si è rivelata un piccolo gioiello. Lo abbiamo incontrato dopo l’evento per parlare di suoni, identità e futuro.
Come l’ha fatta sentire contribuire alla direzione artistica del Medimex?
«È stata un’occasione molto stimolante. Ho deciso di dare il mio cercando di tornare al senso originario del nome Medimex, che nasce come Mediterranean Music Expo. Ho costruito così una piccola rassegna che ha raccontato le rotte del Mediterraneo, quei percorsi che hanno generato mescolanze culturali e musicali profonde. Ho selezionato tre progetti che, a mio avviso, incarnano bene questo spirito: La Niña, artista napoletana con forti richiami al Sud del mondo, il collettivo franco-marocchino Bub L’ Bluz e la cantautrice catalana Magalí Datzira. Tutti e tre hanno portato a Taranto musiche riconoscibili a livello globale, ma profondamente radicate in territori diversi».
Tutti progetti al femminile. Una scelta voluta?
«Sì, anche se prima di tutto sono rimasto colpito dalla qualità delle loro proposte. Credo che in questo momento storico ci siano percorsi musicali femminili più interessanti di tanti altri. In due casi si tratta di duo guidati da donne, nel terzo di una band con una frontwoman. Questa presenza femminile forte ha veicolato un messaggio chiaro: abbattere le barriere, promuovere la pace, sentirsi vicini. La mia compagna, che è brasiliana, ha assistito ai concerti e mi ha fatto notare connessioni tra i progetti che forse noi, immersi in questi territori, facciamo fatica a cogliere».
Qual è l’importanza, per queste realtà indipendenti, di avere una vetrina come il Medimex?
«È fondamentale. Viaggiare con la propria musica apre orizzonti. L’ho sperimentato anche io in tour all’estero. Quando ti accorgi che la tua musica supera la barriera linguistica e arriva a tutti, capisci davvero il suo potere. Ogni volta che torno a casa da questi viaggi, sento di aver portato con me qualcosa di prezioso. Credo sia un passaggio essenziale per qualsiasi progetto artistico».
E lei, in che momento del percorso artistico si trova?
«È un periodo felice. Sono in tour da parecchio tempo, e quest’estate ho in programma un po’ di concerti. Il live è il luogo in cui riscopri cosa ti ha spinto a fare questo mestiere. C’è un flusso umano che si crea con il pubblico, un’energia che restituisce senso a tutto. La musica, oggi più che mai, ha il compito di farci sentire parte di qualcosa».
Sta lavorando anche in studio?
«Sì, sto registrando dei brani. Non ho mai avuto un grande amore per lo studio di registrazione: la fase compositiva mi entusiasma, ma l’ingresso in sala mi mette sempre un po’ alla prova. Poi però inizio a entrare in sintonia con quegli spazi, e qualcosa scatta. Non mi piace forzare i tempi: preferisco fermarmi quando sento che tutto è a fuoco. Anche se, lo ammetto, il perfezionismo è una trappola sempre in agguato».
Per chiudere, che valore ha oggi il Medimex per Taranto e per la Puglia?
«Penso sia il frutto di un lavoro lungo. Dieci anni fa sarebbe stato impensabile vedere artisti di questo calibro nella nostra città. Oggi leggo che i tour europei di nomi come Massive Attack, St. Vincent o Thom Yorke (lo scorso anno ndr) passano da Taranto, e mi sembra quasi incredibile. Il merito va a chi ha costruito tutto questo con fatica: penso a Cesare Veronico, ma anche a quell’esperienza collettiva che è stata l’Uno Maggio. Oggi Taranto è un centro culturale internazionale. E ne siamo tutti un po’ responsabili».