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Modugno, gli Zero Assoluto live al Demodè: «Noi innamorati della Puglia» – L’INTERVISTA

Chiudi gli occhi, dici “Zero Assoluto”, e ti torna in mente quel «tuturu turututtu» che fa subito anni 2000. Thomas De Gasperi e Matteo Maffucci - in arte, gli Zero Assoluto - di successi (e premi) insieme ne hanno accumulati a non finire. Una vagonata di dischi di platino, per diventare in poco tempo il…

Chiudi gli occhi, dici “Zero Assoluto”, e ti torna in mente quel «tuturu turututtu» che fa subito anni 2000. Thomas De Gasperi e Matteo Maffucci – in arte, gli Zero Assoluto – di successi (e premi) insieme ne hanno accumulati a non finire. Una vagonata di dischi di platino, per diventare in poco tempo il pop duo più amato d’Italia. Poi il silenzio. Un paio d’anni fa il ritorno, attesissimo. Ora un tour – che li vedrà sabato 26 ottobre sul palco del Demodè, a Modugno (BA) – e presto un nuovo disco. Prima del live in Puglia, Matteo Maffucci ha risposto a qualche domanda.

Tornate ad esibirvi in Puglia? Che rapporto avete con questa terra?

«Può sembrare una banalità, ma il nostro è un innamoramento costante e continuo. Ci abbiamo suonato migliaia di volte e ci vengo anche in vacanza».

C’è qualche aneddoto che ricorda dei vostri concerti pugliesi?

«Ricordo che sono sempre stati molto “canterini”. Per me i live più goduriosi sono quelli in cui il pubblico canta con noi, dall’inizio alla fine. Credo sia la più grande perversione di ogni artista che si esibisce sul palco».

Siete tornati a esibirvi un paio d’anni fa, dopo un lungo periodo lontano dalla scena. Che è successo durante questi anni di silenzio?

«Avevamo bisogno di una pausa. Dopo quasi vent’anni di musica era arrivato il momento di mettersi da parte e fare un bilancio. Anche per un senso di protezione verso le canzoni che hai fatto, è meglio stare in silenzio che correre il rischio ripetersi. E poi in questi anni abbiamo preso due agenzie di comunicazione, che stanno andando alla grande. Questo ha assorbito molto del mio tempo».

La fase di distacco dalla frenesia delle tournée immagino sia stata dura.

«È traumatica…»

Quel buio dopo tutte quelle luci…

«È molto complicato. Ma credo il problema non sia la mancanza di adrenalina. Anzi, può anche esserci la perversione di rinunciarvi, dopo quasi vent’anni in giro. Quello che ti manca è tutto il contorno, la routine che si crea. Si innesca un meccanismo nostalgico: è pura malinconia».

Come ha affrontato e superato questo periodo?

«L’ho scelto, quindi non c’era qualcosa da superare. Non siamo mai stati solo dei musicisti, parallelamente c’è stato tanto altro, e questo ci ha permesso di tenere “libera” la nostra creatività. Quando puoi permetterti di gestire la musica come vuoi, è un bel privilegio».

Oggi il mondo dell’industria musicale è eccessivamente frenetico? Si produce a ritmi esasperanti…

«Sì, ma questo regala possibilità a tantissimi artisti. Credo che la qualità di produzione della musica italiana sia salita molto. Ci sono poi degli scompensi riguardo alla fruizione. Alcune canzoni hanno bisogno di tempo per rimanere. Prima un brano lo coccolavi, lo portavi in giro… aveva un suo percorso analogico che si sta perdendo».

Col produttore discografico Stefano Senardi, discutevamo della tendenza odierna a suonare troppo negli stadi, mentre sarebbe bene far tornare la musica nei club. Lei cosa ne pensa?

«Noi facciamo questo tour nei club, per poi salire, il primo marzo, sul palco del Forum di Assago. Sarà il “concertone”. Ma la sensazione magica e familiare dei club, rimane terribilmente affascinante. I club sono l’essenza della musica».

Dei talent che pensa?

«Ho a che fare con talent e piattaforme digitali ogni giorno, tramite la mia agenzia. Come per qualsiai cosa, dipende come la si fa. Ci sono alcune idee e situazioni che sono intriganti e “aggiungono”, altre del tutto superflue. È un discorso di qualità».

Era più difficile emergere, quando sono nati gli Zero Assoluto?

«Sarebbe semplice dirti di sì. In realtà credo sia difficile allo stesso modo, cambiano i paradigmi».

Siete stati 3 volte a Sanremo. Che ricordi ha di quell’esperienza?

«È la più grande vetrina musicale che c’è in questo paese. Un moltiplicatore eccezionale di numeri, il luogo più prezioso dove andare a presentare una canzone. L’importante è andarci con una canzone in cui credi profondamente, altrimenti sei un pazzo».

È davvero un tritacarne il Festival?

«Emotivamente parlando è sicuramente stressante, un vortice di emozioni indescrivibile. Prima di andare in scena, avrei pagato per smaterializzarmi da un’altra parte (ride ndr). Ma tutto è direttamente proporzionale alla bellezza che ti torna indietro. E poi salire su quel palco ti da il “patentino da cantante”».

Lo status, quindi?

«Dopo essere andato al festival c’è il parente che ti dice “allora sei davvero un cantante” (ride ndr)».

Qualche ricordo del Festival che le è rimasto particolarmente impresso?

«Tantissimi. Ti direi le collaborazioni nei duetti: “Svegliarsi la mattina” con Niccolò Fabi è stato un momento magico. O anche quello con Nelly Furtado, un momento che definirei distopico. Ma la cosa più sconvolgente di Sanremo è il ruolo che ricoprite voi giornalisti. Ti ritrovi in una giornata a fare 90 interviste consecutive, con le domande che sono quasi sempre le stesse. Una cosa faticosissima».

State lavorando a qualcosa di nuovo?

«Stiamo preparando tutta una serie di canzoni nuove, bellissime. Lo posso dire, tanto nessuno le ha ancora sentite (ride ndr). Però siamo pronti, stiamo tornando».

Che sound avete tirato fuori?

«Il nostro, attualizzato, anche se neanche troppo. Ci siamo resi conto, riascoltando quello che facevamo agli inizi, che tutto il filone indie è molto simile al nostro. Senza nessun merito da parte nostra, avevamo già un sound molto contemporaneo».

Quanto le ha dato fastidio in passato avere questa etichetta di pop band che piace alle ragazzine?

«Quando ero giovincello, molto. Da quando siamo tornati a fare musica però, ho fatto interviste con giornalisti che forse prima non mi avrebbero neanche salutato per strada; oggi ci chiedono come ci si sente a essere i “papà dell’indie”. Poi credo che quando le canzoni rimangono nel tempo, hanno il peso specifico per abbattere tutto il resto».

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