«Questo mio primo, ad oggi unico, film da regista del 2012 non lo ha visto praticamente nessuno. Era considerato un film complicato dai distributori e resta, in effetti, un film che ha bisogno di uno spettatore attivo, che ha voglia di seguire la storia. Alla fine lo prese l’Istituto Luce e lo distribuì in appena 18 copie, stette in sala pochissimo. Però in due settimane di programmazione incassò 280mila euro, oggi sarebbe quasi un successo!». Così Luigi Lo Cascio, ospite al Bif&st 2023 che riceverà il Federico Fellini Platinum Award, durante la masterclass che si è tenuta questa mattina al Teatro Petruzzelli.
È stato proiettato “La città ideale”, film diretto da Lo Cascio che ha parlato della sua esperienza da regista, attore e cabarettista. A moderare l’incontro l’attore Enrico Magrelli.
A proposito del suo film, Lo Cascio ha spiegato che «il personaggio di mia madre era davvero mia madre, Aida Burruano, un’insegnante di diritto negli istituti tecnici siciliani. Lei non voleva recitare ma io avevo scritto il ruolo proprio pensando a lei. Ci misi tanto a convincerla e alla fine lo fece. Poi mi espresse il suo dispiacere quando aveva cercato il suo nome su Google e aveva trovato: “attrice”. Proprio lei che aveva dedicato tutta la sua vita all’insegnamento».
Nel cast, nel ruolo dell’avvocato, c’era un altro parente di Lo Cascio, suo zio Luigi Maria Burruano: «Con lui avrei voluto fare un secondo film che avevo intitolato “Come sta lo zio Gigi” e che ruotava attorno a me che gli proponevo un ruolo da protagonista. Mi dispiaceva che lui, così bravo, non aveva avuto quello che meritava. Poi purtroppo si ammalò ed è scomparso nel 2017».
Proprio ad una telefonata dello zio, come ha ricordato Enrico Magrelli, si deve la svolta nella carriera di Lo Cascio. «Ero appena stato estromesso da uno spettacolo teatrale, il regista mi aveva detto che ero praticamente un cane, un caso disperato. Mi trovavo sul divano di casa mia facendo zapping con il telecomando quando squillò il telefono. Era mio zio che mi diceva di venire subito a Mondello perché Marco Tullio Giordana voleva conoscermi. Era il 14 agosto del 1999, faceva caldissimo, le strade erano intasate dalle macchine dei villeggianti. Finalmente arrivai, ci sedemmo con Giordana, mio zio e altri e confessai subito che, nonostante avessi già 32 anni, non sapevo praticamente nulla di cinema, con grande disperazione di mio zio. E invece andò bene: feci il provino e fui preso come protagonista de “I cento passi”, l’inizio della mia carriera nel cinema».
Prima di allora Luigi Lo Cascio aveva iniziato con il cabaret. Poi gli studi all’Accademia nazionale d’Arte drammatica “Silvio D’Amico”: «Anni bellissimi – ricorda Lo Cascio -, ho avuto la fortuna di avere grandi maestri come Orazio Costa, il cui metodo molti allievi consideravano antiquato e che invece ci insegnava a guardarci tra noi. Interpretavamo a turno gli stessi ruoli, maschili e femminili, e ci facevamo reciprocamente da specchio, capivamo le diversità. Ci esercitavamo a fare qualsiasi cosa, non solo esseri umani, senza soggezione e questo mi spalancò molte cose».
Tra i suoi compagni di corso Pierfrancesco Favino, Alessio Boni, Fabrizio Gifuni. «Fabrizio era quello che frequentavo più di tutti, ero spesso a casa sua, la famiglia mi aveva pressoché adottato. Mi costringeva a vedere tutti i film di Gian Maria Volonté. Fabrizio e Pierfrancesco erano degli imitatori incredibili, divertentissimi, si impossessavano delle persone che imitavano, era impossibile farli smettere quando iniziavano. Con i dialetti erano capaci di interpretare una intera scala di condominio di qualsiasi città».
L’ultimo anno è stato molto intenso per Luigi Lo Cascio, con ben tre film nelle sale usciti a breve distanza.
«Ora, però – conclude l’attore -, mi dedicherò per qualche tempo solo al teatro, sarò in tournée con uno spettacolo di Marco Tullio Giordana su Pasolini. Solo nell’estate del prossimo anno, ora che ho l’idea giusta, comincerò a preparare il mio secondo film da regista».