Lilly Love porta il suo show ad Andria: «Fare la “drag”? È un atto politico» – L’INTERVISTA

Direttamente da Milano, passando per cabaret, videoclip musicali e Vogue, arriva all’Officina San Domenico di Andria. Ballerina di burlesque, dama dell’erotismo, Lilly Love si è esibita sul palco del centro culturale andriese Officina San Domenico arrivando direttamente dal Plastic e La Boum di Milano, passando per Vogue Italia e i videoclip di grandi artisti pop come Myss Keta, Achille Lauro e Power Frances.

Lilly con il suo drag show apre le danze di una nuova stagione del centro culturale e di un percorso curato dal collettivo transfemminista SVERGOGNAT*. Una grande valigia nera aperta sul pavimento. Accanto, un paio di tacchi dorati e un paio rossi. Su una sedia, i jeans e una maglietta nera stropicciata lasciano la scena alle paillettes, alle piume e ai velluti ordinatamente appesi sulle grucce. Una sagoma vestita di una vestaglia di seta giapponese mi dà le spalle. Nello specchio dai bordi illuminati Lilly Love compare e scompare. Un occhio, la bocca, il naso. Lilly Love rinasce ogni notte, disegnata con un pennello sotto le luci a led di un camerino buio e viene alla luce, ma quella stroboscopica, di un palco che acclama il suo drag show.

Come è nata Lilly Love?

Travestirmi è sempre stato il mio modo di esprimermi in totale genuinità. Lo facevo sin da bambino, utilizzando coperte o addirittura buste della spazzatura. Il gioco si è trasformato in folgorazione quando ho visto il primo spettacolo drag a quattordici anni. Ricordo le note di Lady Marmalade e un pensiero che esplodeva in me: “Questo è tutto ciò che voglio fare”. Ho capito che il drag era la mia forma d’arte, perché rendeva reali le fantasie della mia parte femminile. Poi è cominciata la sperimentazione sul make-up, la ricerca di stile, la fascinazione per le showgirl dagli anni Venti agli Cinquanta. Così è nata Lilly Love.

Lilly, il mondo drag è fatto di rituali, sperimentazioni e ricerca di sè. In quindici anni di show sei cambiata molto, basti pensare che sei nata a Cagliari ma adesso vivi a Milano, due realtà completamente differenti. C’è una figura che ha influito più delle altre sulla tua crescita artistica e ti ha accompagnata in questo percorso? Hai una tua “madre drag”?

Mi ritengo anche fortunata perché in Sardegna esiste una scena drag sin dalla fine degli anni Ottanta. La prima drag queen sarda famosissima, in scena dall’89, si chiama Velena ed è pazzesca: lei è stata la madre di tante ed anche la mia. Mi ha fatto capire che avrei dovuto trovare il mio modo di truccarmi e i miei vestiti. In occasione della festa celebrativa del mio decennale di drag nel 2018, l’abbiamo invitata come ospite speciale: è stato un onore averla sul palco con me e scoprire l’evoluzione che c’è stata in questi anni da entrambe le parti.

Lilly, essere una drag queen non è solo una scelta artistica. Significa fare attivismo, rivendicare uno spazio di espressione di sé non convenzionale. Immagino non sia un percorso sempre semplice e lineare. Cosa c’è dietro i sorrisi che porti in scena?

La verità è che all’inizio non è semplice, non è per niente semplice. Devi fare i conti con la scoperta di una parte molto intima che hai paura di mostrare al mondo. Agli inizi, in Sardegna, arrivavo nei locali tante ore prima per prepararmi lontana da occhi indiscreti e tornavo a casa con i miei abiti quotidiani. Lilly Love viveva “chiusa” in un locale. Ma la mia ambizione era far vivere la mia fantasia dall’inizio alla fine. Ricordo la prima volta che è successo: era Halloween, la macchina era parcheggiata sotto casa e dovevo solo scendere le scale ma l’idea che qualcuno potesse vedermi così vestita mi terrorizzava. Quel giorno ho rotto il ghiaccio ed è stata un’emozione fortissima, quasi eccitante. Oggi esco e rientro a casa in full drag a qualsiasi ora del giorno e della notte, prendo i mezzi senza problemi. Vivere a Milano mi ha aiutata, ma per me questo resta un atto politico.

Cosa ti spinge a continuare a farlo, dopo quindici anni?

Salire sul palco significa far esplodere la tua vitalità anche quando sei in una giornata “no”, quando non ti va. Ma a Lilly io devo tanto. Se non fosse per lei non sarei dove sono ora, con il bagaglio di emozioni e relazioni che ho. Lilly mi ha aiutato sia economicamente che psicologicamente, è letteralmente la mia terapia: mi ha permesso di superare i momenti più difficili, come la fine di una relazione o eventi spiacevoli. Insomma, a volte i dubbi non mancano, ma credo facciano parte di ogni percorso che possa dirsi vivo. Quando mi chiedo “perché lo faccio?” ripenso all’entusiamo e all’autenticità di quando, da bambino, ho cominciato a giocare con le bambole.

So che recentemente sei stata ospitata da una quinta elementare di Milano per un corso di makeup creativo. Com’è stato incontrare bambine e bambini?

E’ stata la cosa migliore che abbia fatto in tutta la mia carriera. Sono stata invitata in una scuola privata, nell’ambito di un corso di teatro in cui abbiamo giocato col genere sperimentando con colori, parrucche, glitter e tessuti. A fine anno la classe ha portato in scena questa rappresentazione teatrale e io sono passata a trovarli a sorpresa. Ma la vera sorpresa l’hanno fatta loro a me: mi sono arrivate quindici letterine e in ognuna c’era scritto quanto fosse stato bello per loro sperimentare, fare qualcosa che non avevano mai fatto prima, e che l’avevano raccontato ai loro coetanei ma che questi “non possono capire perché non l’hanno mai fatto”. Mi ha commosso vedere la spontaneità e l’autenticità con cui si sono messi in gioco senza stereotipi, in un luogo sicuro e lontano dai giudizi. E’ quello che da piccolo avevo sempre sognato.

Cosa leggi nello sguardo di chi ti incontra?

Avere una maschera ti dà il potere di vivere la tua fantasia come mai potresti fare nella tua quotidianità e il coraggio di affrontare gli sguardi più perplessi. Mi capita di leggere dissenso ma la maggior parte delle volte ricevo complimenti e occhiolini dai padri di famiglia (ride ndr). C’è un episodio che più degli altri mi fa sorridere: in occasione del pride ero ad Aosta, una realtà non grandissima. Passeggiavo per la strada principale in full drag e ho incrociato lo sguardo di una signora di novant’anni: all’inizio ha sgranato gli occhi, ma poi mi ha sorriso e mi ha fatto l’ok con la mano. Le ho sorriso anche io. Chissà se le ricordavo i suoi tempi, se ha rivisto in me qualcosa della sua giovinezza…

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