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«La memoria è salvifica e ci risintonizza col mondo». Omaggio a Battiato con i Radiodervish

La sua casa è l’anima del mondo. La sua musica attinge alla memoria delle culture mediterranee, contaminata e interpretata con la consapevolezza del proprio percorso e con l’assertività di un presente ruvido che le note intense della sua voce animano di speranza di pace. È Nabil Bey, nato a Tripoli (Libano) nel ‘62, a Bari…

La sua casa è l’anima del mondo. La sua musica attinge alla memoria delle culture mediterranee, contaminata e interpretata con la consapevolezza del proprio percorso e con l’assertività di un presente ruvido che le note intense della sua voce animano di speranza di pace. È Nabil Bey, nato a Tripoli (Libano) nel ‘62, a Bari dall’83 (dove si è laureato in ingegneria); è giornalista, docente e, non ultimo, fondatore, leader, autore e voce dei Radiodervish, il gruppo di world music fondato a Bari con Michele Lobaccaro, che più di ogni altro, dal ‘97 in poi, ha definito una poetica e una visione del mondo con un’Italia ponte tra Oriente e Occidente. La band negli anni ha pubblicato 13 dischi (sempre con la collaborazione di Alessandro Pipino); fra le tante interazioni con musicisti importanti, spicca quella con Franco Battiato, che il 28 maggio, al teatro Kismet di Bari, a un anno dalla scomparsa del grande artista, i Radiodervish omaggeranno con il concerto spirituale “No time, no space”.

Nabil Bey, come definirebbe il suo rapporto con Battiato?

«Una lunga, bellissima amicizia. Franco è una persona straordinaria, autentica, la cui grandezza si ritrova anche nella sua struggente umanità, umiltà. Pur essendo quello che è, rivolge attenzione a tutti i dettagli, non tralascia niente, li rispetta».

Colpisce che Nabil ne parli al presente, quasi ad attestare che una persona come Battiato non possa estinguersi con un ultimo respiro terreno. Lui che “candidamente” richiamò Nabil dopo aver ricevuto un disco della band per complimentarsi; lui, che Nabil ha rincontrato nel tempo, iniziando una collaborazione preziosa e sofisticata; lui, che “faceva la differenza”.

Lei spende la sua fama per sostenere l’ambiente, la pace, le persone: da dove arriva questa profondità umana?

«Faccio quello che posso. Sono nato e cresciuto in Libano, da una famiglia palestinese: rifugiati fuggiti nel ’48 dopo la creazione dello Stato di Israele. Purtroppo, a volte le persone creano la propria esistenza sulle macerie delle esistenze degli altri. Lì mi sono formato in una società abbastanza aperta e attenta alla diversità, all’alterità, alla considerazione umana dell’altro. Porto il bagaglio di questa educazione. Allora, con la prima guerra civile in atto, era prassi incoraggiare i figli a uscire dal Paese: così sono approdato a Bari per completare il mio percorso di studi».

E la musica?

«Non pensavo potesse diventare un’attività così totalizzante. Furono le prime esperienze di World Music in Italia, inizialmente con una formazione di tipo collettivo, poi diventata una vera e propria band, Al Darawish, sciolta dopo un paio di dischi. Ma Michele ed io abbiamo continuato il percorso fondando i Radiodervish, connettendolo alla visione personale del mondo del sottoscritto e di chi mi accompagna; visione che cerchiamo di raccontare attraverso la nostra musica».

Nei suoi scritti ricorre spesso la parola “memoria”.

«La memoria è un elemento salvifico, ti orienta e ti posiziona nella vita, non solo quella esterna. Riscoprire quelle che sono le relazioni, le dinamiche che si sono intrecciate in questo nostro subcontinente mediterraneo, permette di andare alle radici per trasmettere un insegnamento consapevole di quello che è il nostro posizionamento nel mondo e nella storia. È un lavoro di ricerca, di studio, di approfondimento sia accademico che umano. Forse non troveremo tutte le risposte, ma cercarle è già qualcosa che ci risintonizza diversamente rispetto al mondo».

Un’attività di ricerca che le è valsa la Cattedra di Etnomusicologia, Culture musicali e civiltà europee ed extraeuropee al Conservatorio Tito Schipa di Lecce.

«Approfondire gli studi e la ricerca sulla nostra musica, metterla al centro della didattica musicale, di un intero corso di laurea, per valorizzare la vocazione mediterranea, è un progetto che ho sognato e voluto fortemente per molto tempo, ora accolto anche dal Conservatorio L. D’Annunzio di Pescara. È una bellissima avventura».

Cosa le dà la musica?

«Emozioni, stimolo, anche nella ricerca: per scrivere, per immaginare, per inventare mondi, bisogna scoprire mondi; e i mondi si scoprono viaggiando, o fisicamente o mentalmente. Così si nutre la creatività, che in tutte le sue declinazioni è il nostro motore, il nostro movente, soprattutto in campo musicale».

In quali mondi ci porterà la sua musica nel prossimo futuro?

«Dopo l’omaggio a Franco Battiato, partiremo con il progetto “Prima luce”, che riprende le tracce più significative del nostro percorso artistico precedente, reinterpretate con la consapevolezza, con noi di oggi. Speriamo che il 2022 sia clemente e ci consenta di farlo. Noi ce la stiamo mettendo tutta». 

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