Le investigazioni interne hanno un ruolo determinante nel settore della responsabilità ania Di Mitriomministrativa degli enti e delle aziende dotate di una certa consistenza organizzativa. Rappresentano infatti uno strumento essenziale per la verifica di potenziali illeciti e se condotte con le opportune modalità possono apportare benefici significativi come elevare gli standard di etica aziendale. A riguardo però vi è una lacuna normativa e da un punto di vista giuridico la loro conduzione rappresenta un esercizio di facoltà. A tale proposito il libro “Investigazioni interne”, poteri, diritti, limiti, responsabilità (Edizioni Pacini Giuridica, 240 pagine, 24 euro) a cura degli avvocati Enrico Di Fiorino e Giuseppe Fornari, con l’introduzione di Enrico Maria Mancuso, docente di Diritto processuale penale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nasce per rispondere ad interrogativi sul tema ed offrire riflessioni non solo dal punto di vista tecnico e normativo. Gli autori, fondatori e partner dello Studio Legale Fornari e Associati, hanno acquisito competenze specifiche in questo campo oltre ad aver ricoperto il ruolo di presidenti di Organismi di Vigilanza di numerose società.
Avvocato Fornari quando una società può condurre un’indagine interna?
«Vi sono moltissime ragioni, tutte valide, che possono giustificare, o addirittura imporre, una verifica interna. In particolare, l’indagine può essere determinata da un evento interno all’azienda (come la presa di conoscenza di una grave lacuna nell’organizzazione o la segnalazione whistleblowing da parte di un dipendente). Inoltre, la verifica potrebbe essere azionata da un fattore esterno, come ad esempio l’apertura di un procedimento penale a carico di un dipendente dell’ente o una notizia di stampa».
Di quali competenze specifiche deve essere dotato il team che realizza le investigazioni interne?
«Sono molto d’accordo sulla necessità di parlare di “team”. Spesso le società affidano le indagini interne ad un unico soggetto, che non è in grado – da solo – di poter valutare tutti gli aspetti del caso. Oltre agli aspetti di carattere penale, connessi al fatto che potrebbe essere stato commesso un reato, vengono in gioco profili di natura giuslavoristica (dal momento che la verifica può interessare l’attività di dipendenti), aspetti di privacy (si pensi alla possibilità di acquisire la casella di posta elettronica di un amministratore), o ancora delicati temi di rapporto con i media. Ed ancora, il coinvolgimento di una pluralità di soggetti consente di preservare un valore fondamentale, che è quello dell’indipendenza: la possibilità di includere nel team investigativo soggetti non legati da pregressi rapporti di natura economica con la società consente di aumentare notevolmente la percezione circa la sua neutralità e terzietà rispetto all’oggetto della verifica».
Perché ancora oggi non esiste una compiuta disciplina di questo strumento all’interno dell’ordinamento italiano?
«Devo evidenziare che nel nostro Paese manca ancora, a monte, una cultura delle indagini interne. Che si traduce, poi, in una lacuna normativa. La mancanza di una disciplina specifica non preclude, ovviamente, che iniziative di carattere investigativo possano essere avviate: se, ad esempio, deve essere intervistato un dipendente, i professionisti possono far riferimento alla disciplina penale delle indagini difensive per svolgere l’attività, ed incontreranno i limiti previsti dalla normativa giuslavoristica. Manca però un quadro d’insieme. Tale assenza si pone in evidente contrasto con la prassi operativa, che vede soprattutto le realtà complesse ricorrere alle investigazioni su base continuativa (non solo, dunque, quale reazione alla patologia) e rischia di compromettere le aspettative di un mutato contesto economico, dove etica, trasparenza e integrità rappresentano oramai valori irrinunciabili. Non posso che auspicare che il nostro manuale possa contribuire a diffondere una consapevolezza circa l’importanza di questo strumento».










