Emilio Solfrizzi e il “suo” malato immaginario: «Il mio Argante pugliese tra gioventù e malinconia»

È tornato nei teatri di Puglia con il “suo” Malato Immaginario. E il successo che sta riscuotendo è enorme. Abbiamo fatto due chiacchiere con Emilio Solfrizzi, «Argante pugliese» e storico volto televisivo di casa nostra.

La critica ha definito il tuo Malato Immaginario «giovane e malinconico». La pensi anche tu così?

«Insieme al regista Guglielmo Ferro ci è sembrato che Argante avesse bisogno di energia fisica. Mi spiego: la tradizione ha sempre affidato questo personaggio ad attori molto in là con gli anni e quindi il pubblico era indotto a pensare che questi acciacchi lui li avesse veramente, a causa della vecchiaia. Dare vigoria fisica ad Argante è stata la nostra chiave di lettura. È un uomo in fuga e, nel tentativo di preservare la vita, finisce per fare il contrario, cioè non viverla, rifugiandosi tra clisteri, medicine e malattie immaginarie. La giovinezza è indispensabile per la lotta. La malinconia, invece, è insita in un personaggio potente come questo perché quelli come Argante (e quindi gli ipocondriaci) amano la vita più di chiunque altro. La sua malattia è la depressione: questo lo rende un personaggio malinconico».

Qualcuno ha definito la tua interpretazione «trascinante» e «con un’inflessione pugliese capace di rendere la storia ancora più vera».

«Questi commenti mi fanno piacere perché vuol dire che sono riuscito a mettere la mia firma sul personaggio. Mi è piaciuto usare uno stile che fosse più naturalistico, più vero: rendere il personaggio umano era la mia mission. Io, che sono pugliese, non potevo che essere un Argante pugliese».

Perché proprio il Malato Immaginario?

«Per tanti motivi. Ad iniziare da quelli istituzionali come i festeggiamenti per i 400 anni dalla nascita di Moliere. Poi perché un attore si prepara tutta la vita nella speranza di incontrare un personaggio come Argante: quando mi è arrivata la proposta del teatro Quirino sono stato felice di accettare, anche se dentro di me sapevo che non sarei mai stato pronto perché parliamo di un personaggio gigantesco»

Come ti trovi nel ruolo di capocomico?

«Sono nel mio brodo (ride)! Mi piace perché adoro lavorare con gli attori, che sono materiale umano straordinario, di grandissima sensibilità e anche di grande fragilità. È bello avere a che fare con le emozioni ed è bello che loro guardino a te per avere una direzione comune. È un ruolo che mi emoziona».

Contento della tua carriera?

«Non sono incline a guardarmi dietro perché amo guardare al futuro. Però mi rendo conto che la strada che ho fatto è lunga e piena di soddisfazioni. Tuttavia c’è una parte di me che dice che si può fare ancora molto».

Quanto hanno inciso i tuoi lavori per la tv?

«Sul conto in banca? (ride). Scherzi a parte, tanto. Perché ho avuto la fortuna di fare bella televisione e di incontrare Carlo Bixio, uno dei più grandi produttivi televisivi di sempre, che mi ha voluto molto bene. Con lui ho fatto cose bellissime. E quando fai televisione – di grande popolarità, successo e qualità – devi considerarti veramente fortunato».

Tante le serie amate dal pubblico, tra cui Tutti pazzi per amore, Love Bugs e Sei forte maestro. A quale sei più affezionato?

«Tutti pazzi è stata un successo clamoroso, incredibile. A questa serie sono particolarmente affezionato perché è un prodotto italiano (venduto in tutto il mondo), a differenza di altri che erano format televisivi stranieri trasposti in Italia. Ma anche Sei forte maestro è rimasta nel mio cuore. Ho avuto il privilegio di lavorare con attori come Gastone Moschin e Valeria Fabrizi, dei giganti della nostra cinematografia, del nostro teatro e della nostra televisione».

Commedia o tragedia?

«L’importante è che mi emozioni. Certo, una risata la trovo insostituibile, per cui, se posso, sono naturalmente incline alla commedia».

Televisione o teatro?

«Perché scegliere? Se posso faccio entrambi. E pure il cinema, la radio e le serie su internet».

Che ne pensi del grande affetto che ti sta tributando il pubblico pugliese?

«Lo speravo, me lo auguravo. Ti confesso che quando vengo in Puglia mi sento ancor più responsabilizzato e mi impegno ancora più del solito perché sia tutto perfetto, tutto in ordine. Quando torno in Puglia provo sempre un pizzico di emozione in più. Lo so che questi applausi finali vanno oltre lo spettacolo e che c’è una parte d’affetto della gente che non va all’attore, ma va proprio ad Emilio. È bellissimo e io spero di meritarmi quest’affetto. Mi piacerebbe che il pubblico sentisse che ricambio tutto il suo amore».

Cosa provi quando torni?

«Qui ci sono le mie radici e quindi provo tutte le sensazioni e le emozioni di chi è dovuto andar via. Avrei fatto volentieri a meno di lasciare la mia terra, anche se devo essere onesto: Roma è una delle poche città in cui non ti senti ospite. Ma tutte le volte che vengo qui capisco che una parte di me è rimasta in Puglia: è come se si ricongiungesse, tutte le volte».

Non possiamo non parlare di Toti e Tata e del legame con Antonio Stornaiolo.

«Antonio è la mia famiglia. È molto più di un fratello, è molto più di un collega, è tanta roba di più. È anche un punto di riferimento importante per qualunque cosa io faccia. Noi ci completiamo, letteralmente, in maniera impressionante e inscindibile, come se fossimo una persona sola. Riusciamo a non vederci per un anno e salire poi sul palco e fare uno spettacolo come se l’avessimo fatto il giorno prima. Non si può far altro che arrendersi alla bellezza di questo rapporto. Litighiamo anche tanto, eh, però è una cosa bella che riusciamo a dirci delle grandi verità e che non fingiamo mai, non ci nascondiamo dietro un dito, non ci diciamo bugie. E poi Antonio è un artista enorme e io lo rispetto moltissimo in quanto tale, al di là dell’affetto e dell’amicizia».

Avete mai pensato di riportare Toti e Tata in televisione?

«Noi siamo Emilio e Antonio. Toti e Tata sono stati un periodo lungo, bellissimo e molto carico di creatività, energia e giovinezza. Ma mi piace di più l’idea di riportare “la coppia” Solfrizzi-Stornaiolo in televisione. Ho la sensazione che Toti e Tata appartengano ad un periodo passato e io non amo le riproposizioni. Mi piacerebbe proporre cose belle e nuove».

Progetti per il futuro?

«Ci sono delle bellissime chiacchiere per dei film, una serie televisiva e qualcosa che ha di bello, piacevole e importante e che deve trovare spazio anche nel prossimo spettacolo teatrale».

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