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Desiati e Russo a confronto: «Nella Puglia delle tante contraddizioni, Taranto avrà la forza per reinventarsi» – L’INTERVISTA DOPPIA

Taranto ha la forza di reinventarsi: è già accaduto nei secoli e può accadere ancoraMario Desiati Mario Desiati e Francesco Russo, due generazioni diverse, ma entrambi scrittori di storie pugliesi nei loro ultimi romanzi, “Malbianco” (Desiati) e “Le vigne vecchie” (Russo), conversano stasera alle 19:30 al Castello di Tutino di Tricase, su Puglia, generazioni e cambiamenti.…
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Gli scrittori Mario Desiati e Francesco Russo

Taranto ha la forza di reinventarsi: è già accaduto nei secoli e può accadere ancora
Mario Desiati

Mario Desiati

Mario Desiati e Francesco Russo, due generazioni diverse, ma entrambi scrittori di storie pugliesi nei loro ultimi romanzi, “Malbianco” (Desiati) e “Le vigne vecchie” (Russo), conversano stasera alle 19:30 al Castello di Tutino di Tricase, su Puglia, generazioni e cambiamenti. Abbiamo voluto sentirli in questa intervista doppia.

Che cosa, ciascuno di voi, ha più urgenza di dire, più impazienza di raccontare, dal proprio punto di vista, sulla nostra regione?

DESIATI: «Della mia Puglia amo le contraddizioni. Da un lato è una terra che si offre al mondo come cartolina di bellezza, dall’altro continua a convivere con spopolamento, fragilità sociali e ferite che restano sotto traccia. Raccontare l’andata e il ritorno, lo sradicamento e le naturali libertà che risiedono nello spirito dei suoi abitanti. La Puglia non è solo turismo o nostalgia: è un laboratorio vivo di identità in trasformazione, e credo che lì ci sia la sua verità più autentica. La definizione che diede Carmelo Bene di Puglia come “religiosissimo bordello” rimane sempre una delle mie preferite e delle più citate quando ne parlo».

RUSSO: «Sulla Puglia di oggi avrei urgenza di raccontare ferite ancora aperte che a mio parere si sono incancrenite. Da scrittore e medico, non posso chiudere gli occhi davanti al peggioramento dei servizi per la salute, coincidenti con le riforme degli ultimi due decenni. Questo è certamente uno dei motivi di lotta che oggi Carlo, uno dei protagonisti del mio libro, affronterebbe di petto e forse una delle ragioni che spingerebbe Rocco, l’altro protagonista, a partire per cercare una realtà migliore da riportare a casa».

Entrambi nei vostri romanzi vi confrontate sui legami che abbiamo col passato, perché, come scrive uno di voi, «un libro è anche un modo di stare vicino a persone che non ci sono piú» (Desiati, “Malbianco”). Come vivete ed affrontate il vostro rapporto con il cambiamento e con la perdita?

DESIATI: «A volte penso che il cambiamento e la perdita non si affrontano mai davvero. Ma è un pensiero personale, che riguarda la mia esperienza. Cambiamento e perdita si imparano a portare con sé. Scrivere è per me un modo di tenere vicine le assenze, trasformarle in presenze silenziose. La letteratura non consola, ma ci permette di dare un nome al vuoto e in quel gesto troviamo la forza di continuare perché il mondo acquista dimensioni, suoni e colori nuovi».

RUSSO: «Il cambiamento e la perdita mi hanno portato a scrivere, perché iniziavo a percepire una dissolvenza dei ricordi e temevo che stessi perdendo una parte della mia vita stessa, quella della mia infanzia: i ritmi dei miei nonni nella campagna assolata e povera di acqua, i loro sforzi quotidiani per trarre frutto da ogni cosa, con l’unico scopo di sopravvivere, l’atmosfera festosa e bucolica delle piccole cose. Ho vissuto in pochi anni un cambiamento sociale ed economico molto celere dovuto all’emigrazione e ai suoi effetti sulle famiglie, che non era solo benessere ma anche rotture e disgregazione, e al progresso tecnologico che ha stravolto i ritmi della società salentina rimasti simili per secoli, fino alle porte degli anni ‘60 e ‘70. Ho affrontato la perdita esorcizzandola con la scrittura e con la memoria ho gestito il trauma del cambiamento».

C’è forse una specie di sollievo nel fare i conti col passato, per liberarsene, per metterci una pietra sopra?

DESIATI: «Sì, credo che nel fare i conti col passato ci sia anche una forma di sollievo. Quando guardiamo indietro lo facciamo con la consapevolezza, e probabilmente l’illusione, che nulla di ciò che è accaduto tornerà, e in questo c’è una strana pace: il passato diventa un territorio concluso, che possiamo attraversare senza più temere che ci travolga. Ma allo stesso tempo quel sollievo è fragile, perché ogni ricordo porta con sé un dolore che non si cancella, soltanto si trasforma. Forse scrivere serve proprio a questo: a restituire al passato una dignità, a liberarsene senza rinnegarlo, a farne una parte viva del presente. Se il passato si trasforma in racconto, allora ci consegna anche la possibilità di un futuro diverso. Non scrivo per restare ancorato alla nostalgia, ma per fare spazio a ciò che verrà. Ogni perdita, ogni ricordo, se accettato, diventa seme di un domani che non conosciamo ancora».

RUSSO: «Sicuramente scrivere significa dare corpo a dei ricordi e ad un passato per me così “presente” e dal quale, come ho detto, ho attinto e continuo ad attingere. Il senso di sollievo lo percepisco attraverso la memoria perché credo che essa sola sia la base per rinascere, creando un dialogo tra le generazioni».

Stiamo approfondendo molto la storia e il futuro possibile di Taranto, in un momento così delicato del suo presente. Desiati, nel tuo libro hai scritto questo bel passaggio: «Se siamo cresciuti così diversi è merito della Taranto contraddittoria, bella e dannata, con la memoria sepolta sotto i quartieri operai e l’origine magno-greca guastata per sempre dall’industrializzazione». Come immagini la Taranto del futuro, cosa temi di più e che cosa speri invece per questa città e per il suo territorio?

DESIATI: «Taranto è una città che ha dentro di sé tutte le contraddizioni del nostro tempo: la bellezza ferita, la memoria antica e un presente segnato da un’industria che ha cambiato per sempre la sua identità. Per questo immagino una Taranto del futuro come una città che riesca finalmente a riconciliarsi con la sua storia, senza più dover scegliere tra salute e lavoro, tra sviluppo e dignità. Spero in una rigenerazione che parta dalle persone, dai giovani che ancora oggi vivono la città come un orizzonte possibile e non solo come una gabbia da cui fuggire. Taranto ha la forza di reinventarsi: è già accaduto nei secoli e può accadere ancora. La speranza è che sappia trasformare il dolore del presente in un futuro condiviso, in cui bellezza e giustizia non siano più parole in contrasto».

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