Da Radio Bari alla Rai, Giampiero Bellardi: «Un mezzo impegnativo ed emozionante» – L’INTERVISTA

La Radio italiana ha appena compiuto 100 anni e parlando di candeline se è vero che il luogo in cui si nasce è già un destino, allora quello di Giampiero Bellardi era già scritto. Quel bimbo “radiocronista del futuro” vede la luce nel ‘49 in un appartamento di via Putignani, a 300 metri dalla sede storica di Radio Bari. Sarà una coincidenza felice o l’influenza di onde “magiche”, sta di fatto che la radio diventa la passione della sua vita. Giornalista professionista in Rai dal 1974 al 2011, Bellardi lavora nella redazione del capoluogo e diventa il corrispondente della Puglia del “giornale radio uno” diretto da Sergio Zavoli e del Tg2 diretto da Andrea Barbato. E ancora, è capo della redazione pugliese nell’88 e vicedirettore della testata per l’informazione regionale nel ‘94. Una carriera brillante e che prosegue poi a Milano dove diventa capo della redazione sportiva e poi vicedirettore della Tgs, la testata per l’informazione sportiva.

Potremmo continuare elencando i suoi incarichi prestigiosi come le rubriche che ha diretto “Dribbling” e “Studio sprint” ma siamo qui per festeggiare “mamma radio” e chi più di lei può ricordare aneddoti d’eccezione. Uno su tutti?

«Il Giro d’Italia degli anni ‘86 e ‘87. Ero nella squadra di giornalisti del calibro di Claudio Ferretti e Alfredo Provenzali. Io, in mezzo al gruppo del Giro, ero “l’uomo della motocicletta”, quello che stava dietro al guidatore. Cercavo di captare ogni cosa, le eventuali cadute degli atleti, gli imprevisti e così via. Dovevo dare notizia con collegamenti in diretta»

Momenti esilaranti?

«Quando chi mi portava dietro, in motocicletta, dribblò all’improvviso. Mi disse che avevamo appena evitato una pipì di un ciclista che era davanti a noi. Avviene spesso, è un’esigenza fisiologica che si esplica in corsa, ovviamente».

La radio nell’era non digitale, come la si viveva?

«Niente cellulari ma gettoni telefonici. Davo le notizie chiamando Roma e quando eravamo sulle montagne, per il Giro, bussavo alla porta di gente del luogo, mostravo la mia tessera e venivo ospitato per far le chiamate che dovevo».

Qual è la differenza emozionale tra la tv e la radio?

«La tv non ha bisogno di parole ma soprattutto di scelta di immagini; quelle sono fondamentali. La radio ti chiede invece di raccontare per far vedere e colpisce il cuore e la testa. È una comunicazione impegnativa, è la bellezza dell’immediatezza “al racconto” e bisogna esser capace di trasmettere emozioni».

Il futuro della radio?

«È sempre una competizione positiva per il mondo delle immagini. Non si punta sulla faccia ma sulla voce».

E la sua ha una dizione perfetta, indispensabile fare corsi?

«Si se non si vuol far intuire le cadenze. I miei maestri sono stati Guglielmo Rossini e Marilena Pizzirani e quest’ultima sorrideva quando pronunciavo una frase non correttamente; capivo così che l’avevo detta alla “barese”».

E i maestri ai quali deve un grazie per la formazione da noto telecronista qual è? Ha iniziato nel ‘72 collaborando con la Rai e guadagnando 1000 lire a notizia pubblicata; chi le ha insegnato tanto?

«Penso subito a Gustavo Delgado, Michele Campione, Elio Savonarola e poi Sergio Zavoli; fu lui a dirmi che in radio bisogna esser capaci di far vedere e fu lui a soprannominarmi “terminale per la Puglia”, vale a dire un punto di riferimento. Ho lavorato anche in squadre che hanno fatto la differenza, come quella della Rai fine anni ‘80, inizi ‘90. In quel periodo Bruno Vespa, direttore del telegiornale, venne a Bari in occasione della Fiera del Levante e si complimentò con tutta la redazione barese. Poi a Milano, nel ‘96, avevo colleghi come Bruno Pizzul o Adriano De Zan, professionisti a cui, se non li avessi avuti accanto, avrei chiesto l’autografo».

Come mai lasciò Bari, dove viveva con la sua famiglia e si trasferì a Milano?

«In Puglia facevo il battitore libero. Ricordo un Bari Atalanta, nel febbraio del ‘74, ci fu un’invasione di campo. Il giornalista Enzo Foglianese mi diede il registratore e mi disse “vai tu negli spogliatoi per le interviste”. Insomma, fu Mario Giobbe a suggerire a Marino Bartoletti il mio nome per Milano». Bellardi è in pensione, vive da tanti anni a Roma, con i suoi affetti di sempre e dal sud al nord, quel filo della passione radio non si è mai spezzato.

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