«Con la Puglia il legame è fortissimo. È un luogo che mi porta ispirazione». Così Rosa Palasciano, attrice pugliese, originaria di Pezze di Greco, chiude l’intervista in cui racconta il film “Taxi Monamour”, di cui è coautrice e protagonista. Alla Mostra del Cinema di Venezia un importante riconoscimento per la pellicola, che ha vinto il Premio del Pubblico Giornate degli Autori. L’attrice assieme al regista De Caro, qualche giorno fa ha presentato “ Taxi Monamour” al Matera Film Festival.
Partiamo dal premio vinto alla Mostra di Venezia. Come l’ha vissuto?
«Siamo stati accolti in modo molto caloroso, ma il premio del pubblico è stata una sorpresa. Un’emozione infinita. Il nostro è un film con una storia semplice,
raccontata in un modo molto personale. Per me è stata una sfida».
Non se lo aspettava?
«Non mi aspetto mai niente, faccio le cose al massimo, col cuore, senza pensare a quello che verrà. Ai premi non ci penso (sorride ndr)».
Avete messo su un film delicato, quasi sussurrato. Da dove nasce l’esigenza di mettere in scena una storia così “normale”?
«Dall’amore e dalla curiosità verso gli esseri umani, per i rapporti. Vivo la vita in modo semplice e spontaneo, mi guardo molto attorno. Questo si riflette inevitabilmente nel mio lavoro».
Si può dire che “Taxi Monamour”, racconti una storia che appartiene un po’ a tutti?
«È quello che abbiamo provato a fare. E in questo siamo stati aiutati da una produzione che ci ha sostenuti e compresi, questo è importante nel percorso. Ringrazio Da Simone Isola e Michael Fantauzzi».
Questo è il tuo secondo film con Ciro De Caro e l’avete scritto insieme. Mi dice un po’ come è stato il processo di scrittura con lui?
«È stato un processo appassionante. Sicuramente non semplice, entrambi abbiamo idee molto precise che teniamo a difendere. Ci piace il confronto. Poi a volte non nego ci sia stato anche lo scontro, ma è giusto così, fa crescere. Quello che ci aiuta è avere le stesse influenze, gli stessi gusti cinematografici».
A proposito di questo, c’è un po’ l’influenza del cinema francese in “Taxi Monamour”?
«Assolutamente. Il cinema francese è una bussola per me. Amo quella libertà che c’era nella nouvelle vague. Seguire i personaggi, i sentimenti, le storie comuni. Osservare tutte quelle cose semplici che accadono per strada o al supermercato, mettendoci poi dentro
le contraddizioni umane, che molte spesso fanno sorridere».
Ha lavorato a stretto contatto con l’attrice Yeva Sai, coprotagonista nel film. Si nota tra voi una chimica speciale. Come ci siete arrivate?
«Siamo state molto fortunate. Ci siamo conosciute in fase di casting e c’è stata un’affinità silenziosa, quasi rispettosa. Con lei è stato un colpo di fulmine, siamo diventate subito amiche. Mi sento felice perché ho trovato una collega, ma anche una persona a cui voglio bene, che ci ha donato la sua esperienza e il suo vissuto, in maniera molto generosa».
Eppure quando avete scritto la sceneggiatura, questa affinità non era certo prevedibile…
«Sognavamo di trovare qualcosa del genere, era un desiderio. Poi è arrivata la persona giusta per raccontare un’amicizia che fosse anche un po’ una storia d’amore».
Possiamo definire il film una esaltazione dell’amicizia al femminile?
«Sì. Ed è una cosa su cui rifletto da sempre. È difficile avere delle amicizie, soprattutto in questi tempi frenetici. Ancor di più tra donne. Abbiamo poco spazio nella società e nei contesti lavorativi, questo crea molta competizione. Quasi abbiamo paura una dell’altra. Invece quando le donne si uniscono, quando si riconoscono e fanno squadra sono una forza incredibile».
L’essere una donna, le ha mai creato situazioni scomode sul set?
«Il nostro è un ambito particolare, in cui si lavora con l’immagine. Credo sia fondamentale avere un equilibrio interiore, consapevoli, senza lasciarsi intimidire. Come attrice, come donna e come essere umano. Ho tanto da dire, e cerco di farlo con grande forza».
Lo avverti un po’ maschilista il mondo del cinema?
«Non più del mondo fuori. C’è molto lavoro da fare sul tema, ma credo siamo sulla strada giusta. Il mio sogno è quello di una parità, senza bisogno di lottare»
Lei è Pugliese. Che legame mantiene con questa terra?
«A diciotto anni sono scappata, la provincia mi soffocava. Avevo bisogno di guardarmi intorno. Però il legame è fortissimo, ora in Puglia ci sto vivendo, sto vicino al mare. È una terra che mi porta ispirazione e fortuna».