«Vai a vedere gli ultimi post che ho scritto su Instagram». E così, nel mezzo dell’intervista a Dolcenera, mi ritrovo a digitare in fretta il suo nome, alla ricerca del profilo social. La cantante ha un rapporto di odio e amore con le piattaforme virtuali, e ci tiene a farmelo notare. Mi ritrovo davanti a una foto di Dolcenera su un palco: in gran forma, minigonna in semi pelle, capello al vento, il microfono nella mano destra, e lo sguardo di chi è perso nella performance. Una “bomba” e tre “fuochi”, le emoticon a sottolineare l’atmosfera, calda. «Leggi la didascalia del penultimo post». Nella foto Dolcenera è in spiaggia. Sotto, uno scambio di battute sarcastico, su quanto la cantante non sia così attenta a riportare gli appuntamenti dei suoi concerti ai fan. Per farla breve, provocazione. Perchè a Dolcenera la provocazione un po’ piace, come le piace parlare chiaramente, fuori dai denti. Tipico di chi come lei è cresciuta in fretta, raggiungendo la popolarità ancora giovanissima. Stasera si esibirà a Castellana Grotte, ospite di “Piazze d’Estate”, alle 21.30.
Stasera arrivi a Castellana con il progetto “Anima Mundi”, raccontamelo.
«Sto portando in giro due format diversi. Uno piano e voce, che è anche un recital, e un altro con la band. Due forme di comunicazione diverse ma comunque intense, le canzoni sono le stesse. Con “Anima Mundi” racconto di diritti civili, di rispetto dell’ambiente, di sogni comuni, di voglia di pace. È uno show energetico, dove si può ballare, ma anche ricco di contenuti».
Vuoi far divertire, lasciando una finestrella per la riflessione?
«La verità è che non vorrei far divertire proprio nessuno. Non mi interessa far divertire, la musica non è divertimento. È espressione dell’animo umano. Adesso le si da solo significato di divertentismo, ma prima non era così».
Stai dicendo che il pubblico moderno è abituato male?
«C’è stata una deviazione del concetto di musica negli ultimi due decenni. Un po’ colpa dell’industria, un po’ del mondo dei social».
Contenuti brevi ed incisivi che vanno ad abbassare il tempo medio d’attenzione…
«La programmazione della vita digitale è impostata sulla rapidità. E sul raggiungimento di quante più persone possibili, nel minor tempo possibile. Stessa cosa vale per la musica».
E tu che rapporto hai con i social?
«Alti e bassi, con più bassi che alti».
Com’è entrata la musica nella tua vita?
«Per caso. Non ho mai cercato questa vita. Mi è successa»
Lo dici con fatalismo, quasi ci fossi predestinata.
«Un pò si. È incredibile quanto non l’abbia cercata questa strada (ride ndr). Però quando vivi qualcosa che ti cade dall’alto, riesci ad avere il giusto distacco dalle cose».
Dal Salento a Sanremo, il sogno di qualunque ragazzo al mondo…
«Ecco, io questo sogno non lo avevo (ride ndr)».
Ma quali sono stati gli step fondamentali che ti hanno portata fino al Festival?
«Una persona, croce e delizia della mia vita, ha creduto in me, prima ancora che lo facessi io stessa».
Siamo sul fronte sentimentale?
«Sì. Ha puntato tutto su di me, e ancora mi chiedo come abbia fatto. Non ha creduto solo nella mia voce, ma nella capacità di poter scrivere cose importanti, che resistono al tempo. Dopo sono arrivate altre persone che mi hanno spinta; e magari ne arriveranno altre ancora domani, perchè io tutt’oggi non credo in me stessa».
Dopo tutta la strada che hai fatto non riesci ancora a credere in te stessa?
«Non riesco a razionalizzare. Se penso che la cosa più bella che ho fatto nella vita è scrivere, poi mi rendo conto che non so nemmeno io da dove arriva tutto questo. Lo senti come qualcosa di mistico, collegato all’anima».
C’è stato qualche artista che ti è stato d’ispirazione all’inizio del percorso?
«Ero innamorata della potenza musicale di Bruce Springsteen, della ricerca delle sonorità, fino allo sfinimento, dei Pink Floyd. Poi della forza evocativa di alcuni testi di Vasco Rossi; e come non citare la sfacciataggine di Celentano».
Sei stata ben cinque volte a Sanremo. C’è qualche aneddoto divertente, simpatico, che ricordi con piacere di quell’esperienza?
«Divertente e simpatico? Aggettivi abbinati al Festival di Sanremo? No (sorride ndr). È un tritacarne, dopo l’esibizione si scappa in albergo a dormire. Si viene così strozzati e spremuti dalle interviste, che alla fine della giornata sei senza voce. Se qualcuno ti racconta qualcosa di divertente successa a Sanremo, sta mentendo (ride ndr)».
Hai cambiato tante volte il tuo suono negli anni. È qualcosa che ti viene naturale o ci lavori con approccio metodico?
«La mia anima è fatta di suoni, che raccontano le sfumature di una canzone. La scelta di un suono di chitarra, di un rullante, del riverbero, per me è qualcosa di spirituale. Purtroppo ho sempre avuto difficoltà a incontrare qualcuno sul mio percorso lavorativo con cui condividere questa visione. Ti viene detto “cerca di fare canzoni che rientrano nel sound che va di moda oggi”».
Quindi, meglio la vetta delle classifiche accettando il compromesso o meglio restare “di nicchia”, ma fedeli alle proprie idee?
«Muoio perchè non so rispondere a questa domanda. Muoio ogni giorno. Da una parte c’è il desiderio di raggiungere quante più persone possibili. Dall’altra c’è necessità di coerenza per me stessa in ciò che faccio. Sono per tutti, ma non di tutti. E questo dall’inizio della mia carriera. Sono sempre stata una finta “pop”, che poi pop non è».
Che momento è per la musica italiana?
«Non vedo differenza tra la musica italiana e quella internazionale. È più una questione di mercati. Il nostro, essendo piccolo, tende all’omologazione».
Io noto anche una minore propensione culturale all’ascolto.
«Veniamo da una cultura cantautorale che presuppone una capacità d’ascolto. Però se ci pensi manca l’attitudine di andare a concerti di artisti che non conosci. Ad ascoltare, appunto, non a fare il “fan”. In Inghilterra e in Germania questa curiosità, questa apertura c’è. In Italia spesso si preferisce rimanere a casa, a fare zapping davanti alla tv».