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Anna Castiglia, fresca vincitrice della Targa Tenco, ora punta Sanremo: «L’idea c’è» – L’INTERVISTA

C’è qualcosa di rotto, e quindi autentico, nella voce di Anna Castiglia. Un’interferenza leggera, come se ogni parola uscisse da un microfono impolverato da anni di concerti in provincia e viaggi in furgone. È la voce di chi ha visto da vicino la macchina dello spettacolo, uscendone viva e con più grinta. Oggi la cantautrice…
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C’è qualcosa di rotto, e quindi autentico, nella voce di Anna Castiglia. Un’interferenza leggera, come se ogni parola uscisse da un microfono impolverato da anni di concerti in provincia e viaggi in furgone. È la voce di chi ha visto da vicino la macchina dello spettacolo, uscendone viva e con più grinta.

Oggi la cantautrice catanese si muove in un tour che non le dà tregua, dopo la fresca soddisfazione di una Targa Tenco per la miglior Opera Prima con “Mi piace”. La sua è una musica che sa essere pop senza cadere in scorciatoie furbette, orecchiabile ma disarmata. E dietro titoli come “Decostruire” nasconde una dichiarazione d’intenti: non rincorrere la forma, ma smontarla. Nel trambusto della sua agenda estiva, Anna si ferma con noi per un’intervista telefonica. Parla di ansie, rivalse, ideologie e piccoli compromessi. E lo fa con una spontaneità che le appartiene nel profondo. Fino alle radici.

Dove si trova in questo momento?

«A Milano, per qualche ora. È l’unico giorno libero prima di ripartire verso l’Argentario. Poi si continua, tanti concerti di fila, Budapest, e via così fino a settembre. Ogni tanto riesco a infilare un paio di giorni al mare, giusto per non crollare. Ma mi sto divertendo tantissimo, è un bellissimo tour».

Come regge questi ritmi?

«Lo sto ancora imparando. Pensavo fosse una dote innata, invece no. Il difficile è quando torni a casa per due o tre giorni: ti sembra che crolli tutto. Dopo tutta quella dopamina e serotonina da palco, viaggi, applausi. È un down notevole».

Si definisce più un animale da live o da studio?

«Sicuramente da live. Non sono proprio un animale da palco, ma è lì che mi sento a mio agio. Nel caso sarei una coccinella, più che un leone. Detto questo, da poco ho trovato una dimensione in studio che mi piace. Sto lavorando con Ramiro Levy (dei Selton) e Alessandro Di Sciullo, che hanno prodotto “Decostruire”: con loro mi diverto davvero, lavoriamo ai pezzi prima ancora della produzione. È un processo quasi ludico».

“Decostruire”, ha un sound molto orecchiabile. Quando scrive, cerca intenzionalmente il ritornello che resta in testa?

«A volte sì, lo ammetto. In altri casi viene da sé. “Decostruire” non mi sembrava un pezzo forte quando l’ho scritto. L’ho lasciato da parte per un po’, poi l’abbiamo lavorato insieme e ha preso una forma inaspettata. Quando le cose funzionano spontaneamente, è sempre meglio».

Avverte la paura di scrivere una “hit” e poi di non riuscire a replicare quel successo?

«Certo. Ogni volta che scrivo un pezzo penso: “Questo è l’ultimo, non ne scriverò mai più uno buono”. È un’ansia costante».

Nei suoi testi non ha paura di affrontare temi forti, anche sociali. Qualcuno la definisce un manifesto del femminismo…

«Dipende, ci sono tanti femminismi. Alcuni li abbraccio, altri più estremisti meno».

È arrivata di recente la Targa Tenco: l’ha vissuta come una consacrazione?

«Assolutamente. Fin da quando l’ho vista assegnata a nomi come Fulimacci ho pensato: “Wow, allora anche chi non è il cantautore classico può vincerla”. Per me è un premio che vale tanto, perché non guarda ai numeri. Quest’anno poi, con Emma Nolde in nomination tra i big, si è respirata aria nuova».

Dopo la Targa, ho scommesso che tra due anni sarà a Sanremo. Me la fa vincere questa scommessa?

«Non posso dire nulla (ride, ndr). Sanremo mi interessa, certo, anche se lì si guarda ancora ai numeri. Ma l’anno scorso è stato diverso, c’erano artisti che adoro. Poche cantautrici, è vero, ma chissà… Dopo Lucio Corsi, magari ci proveranno tutti. Diciamo che l’idea c’è».

Torniamo a X Factor: sente un senso di rivalsa verso Morgan, che l’ha eliminata due volte dal programma?

«Ovvio (ride, ndr). Capita che ci sentiamo, ma sulla Targa non mi ha detto nulla. Lui diceva di averlo fatto per proteggermi. Va bene così. Più che con lui, il senso di rivalsa è verso il programma. Essere eliminata due volte è già un meme. Però, in questi tre anni, è successo di tutto. Le porte chiuse in faccia, a volte, fanno entrare più luce».

L’hanno etichettata come l’artista più originale della sua generazione. Si riconosce in questa definizione?

«Mi sento lusingata, ma anche scettica. Lo dicono a tanti. Mi godo il complimento, ma senza montarmi la testa».

Nel percorso che ha vissuto fino ad oggi, ha dovuto accettare compromessi o si è mantenuta pura?

«Abolirei la parola “pura” dal vocabolario. Mi rimanda al razzismo, al mito dell’artista puro, e a quello delle donne intoccabili. L’impurità ce l’abbiamo tutti. E poi, chi l’ha detto che non si deve cambiare? Io voglio cambiare ogni giorno: genere musicale, acconciatura, tutto. Se un compromesso ti fa stare male, è giusto evitarlo. Ma se non fai una cosa solo per non deludere chi ti vuole “pura”, allora no, non ci sto».

Partecipare a X Factor è stato un compromesso?

«Sì. È stato difficile stare lì, anche se per poco. Mi sono compromessa molto. Però, col senno di poi, lo rifarei. È stato utile. Quando è andato in onda, ha portato frutti positivi».

Lo consiglierebbe ad altri artisti emergenti?

«Sì. Tanti lo snobbano, anche tra gli addetti ai lavori. Anch’io dicevo sempre “mai”. Ma è l’unico modo per farsi vedere. Le stesse persone che ignoravano le mie mail mi hanno contattata dopo avermi vista lì. Dicevano: “Io X Factor non lo guardo, però ti ho vista…”. Ecco, quel “però” dice tutto. In certi ambienti musicali devi quasi vergognarti di averlo fatto, eppure poi il telefono inizia a squillare».

Parliamo di temi generazionali: gli adulti descrivono i giovani di oggi come apatici e superficiali. C’è un gap comunicativo colmare?

«Assolutamente sì. Ma non sono d’accordo con questa visione. Le nuove generazioni devono stare attente a così tante cose da finire in burnout. A una cena con amici devi sapere come non offendere chi ha pronomi diversi, essere vegetariano, transfemminista, ambientalista… Ho scritto un pezzo in cui dico: “Ho 200 matrimoni all’attivo per tutte le cause che ho sposato”. E poi ci dicono che siamo superficiali? Ma per favore».

Con i social che rapporto ha?

«Complicato. A volte mi pesano, mi sembrano un compito da svolgere, un curriculum da aggiornare. Altre volte li vivo con più leggerezza. Ma non è mai davvero spontaneo».

Se potesse cantare un’ultima canzone sul palco, quale sarebbe?

«Probabilmente la prima che ho scritto. Avevo nove o dieci anni, l’avevo composta per il compleanno della mia migliore amica».

Se la ricorda?

«Certo. Diceva: “Questa è l’amicizia che splende su di noi, ci sosterremo e amiche rimarremo”».

Suona un po’ Zecchino d’Oro. Non ci ha mai pensato da bambina?

«No, mi stava antipatico. Diffido dei programmi con i bambini che cantano. I bambini devono giocare».

C’è qualcosa che vorrebbe diventare e qualcosa che non vorrebbe mai diventare?

«Vorrei diventare versioni di me che dipendono dal mio io, non dal piacere o dalle aspettative degli altri. Non voglio più agire per compiacere. Vorrei essere fedele alla mia versione in continua costruzione. La “decostruzione” per me è proprio questo: togliere tutto ciò che abbiamo ereditato e non ci appartiene».

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