Ore 9,30 di mercoledì 22 novembre. Entro nel reparto di Chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica del Policlinico, l’Unità operativa diretta dal professor Giuseppe Giudice. Ho in mano un mazzo di fiori e sono per Dory, la donna 35enne di Monopoli accoltellata e viva per miracolo. È il giorno delle sue dimissioni.
La vedo arrivare, nel corridoio e un’infermiera la spinge sulla sedia a rotelle. Quando mi è accanto sorride emozionata per le rose, mi guarda con uno solo dei suoi occhi chiari; quello che le è rimasto. È magra, senza capelli, una benda su parte del volto, diverse cicatrici vicino alle labbra, tante sulla testa nuda, su un orecchio e ha le braccia fasciate come fossero ingessate. È bella lo stesso, le dolgono anche le gambe e la sua voce è fioca ma le sue parole sono forti come “urla di coraggio”.
Ripercorriamo quel giorno maledetto, giovedì 2, quando la sua vita ha cambiato volto. «Erano le 5 e mezza e andavo a lavorare come sempre, nell’azienda ortofrutticola, a Polignano a mare – ricorda Dory – Uscivo dal portone della casa di mia madre, lì dove vivo con mio figlio di tre anni dopo la separazione dal mio compagno, e me lo sono trovato davanti, all’improvviso, armato di un coltello. Attimi di terrore e ho avvertito sangue ovunque».
Mentre Dory parla il pensiero va inevitabilmente a Giulia Cecchettin, la 22enne veneta che non c’è più, uccisa dal suo “ex amore”, un suo coetaneo. Stessa età tra le due coppie. «Quando ho appreso di questo efferato femminicidio mi è venuta la pelle d’oca – continua – Mi sono immedesimata, so quello che Giulia ha provato in quei tragici istanti. Io sono stata fortunata, lei purtroppo no. Ho gridato aiuto e in mio soccorso è arrivata mia madre e poi anche i vicini. Sono viva grazie a tutti loro».
Dory, in quei momenti, mentre lui infieriva con fendenti sul viso e sulla testa, ha pensato a restare vigile e cosciente a tutti i costi. «Sentivo che perdevo sangue ovunque e avevo paura di addormentarmi senza poter fare più nulla. L’ho fatto solo dopo, quando è arrivata l’ambulanza e ascoltavo i medici. Mi sono lasciata andare solo allora e poi è arrivato il sonno, il coma».
Colavitto non si spiega ancora come sia stato possibile tutto questo. Qualche segnale negativo, in quasi sei anni di vita di coppia, di certo c’era ma nulla faceva pensare ad un epilogo così terrificante. Ha tanta rabbia dentro e forse mai vorrà perdonare. «Era geloso, sempre di più ma era lui stesso a commentare e a condannare con le parole questi casi di cronaca di violenza sulle donne».
Dory ha denunciato il suo ex, il 20 ottobre ma non è servito a nulla. «Potevo morire. La legge va troppo a rilento e non segue i passi degli assassini. Loro vanno avanti e ci raggiungono, ci uccidono. Bisogna fare di più. Invito quindi le donne che hanno paura dei propri compagni o ex a non uscire mai da sole, mai. Andar via dalla stessa città se necessario e poi certo, comunque denunciare».
In questa triste vicenda “a lieto fine” il bambino di Dory è protetto dalla nonna e dallo zio e non chiede del padre, per ora. Ha solo saputo che sua mamma è stata in ospedale per curare delle ferite. «Mio figlio sta bene ma mi ha lasciata senza parole quando mi ha chiesto se queste “bue” me le avesse procurate il papà. Di sicuro aveva in mente le liti continue prima che io e il mio compagno ci separassimo. Questi uomini, una volta arrestati, devono rimanere in carcere, noi abbiamo il diritto di esser tutelate. Appena mi son svegliata, nel reparto di Rianimazione, per prima cosa mi sono accertata che lui fosse in carcere. Il mio appello è destinato anche agli uomini e alle donne di legge». La parola ora spetta all’avvocata di Dory, Maria Laghezza. Oggi comunque è un giorno felice. Dory è a casa.