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Usura ed estorsione ad Andria: arrestate sei persone. Ai domiciliari un’avvocata

C'è anche un'avvocata tra i sei arrestati (in carcere e ai domiciliari) stamattina dagli agenti del Servizio centrale operativo - Sezione investigativa di Bari e delle Squadre mobili di Barletta Andria Trani e Bari ad Andria con le accuse a vario titolo ed in concorso, di estorsione (consumata e tentata) ed usura, aggravati dal metodo…

C’è anche un’avvocata tra i sei arrestati (in carcere e ai domiciliari) stamattina dagli agenti del Servizio centrale operativo – Sezione investigativa di Bari e delle Squadre mobili di Barletta Andria Trani e Bari ad Andria con le accuse a vario titolo ed in concorso, di estorsione (consumata e tentata) ed usura, aggravati dal metodo mafioso, nonché detenzione illegale e porto in luogo pubblico di pistola.

Tra i destinatari della misura cautelare, emessa dalla gip del tribunale di Bari, Anna Perrelli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, pm Daniela Chimienti, oltre al professionista, anche i vertici del clan Pesce Pistillo di Andria nei confronti dei quali il 29 settembre scorso era già stato disposto il fermo, in considerazione dell’escalation di violenza registrata. In carcere sono finiti Gianluca Pesce, Oscar Davide Pesce, Michela Altomare Caldarone, Giuseppe Loconte e Nicolas Nicolamarino.

Domiciliari, invece, per l’avvocata Grazia Tiziana Favullo, cui le vittime di usura, si erano rivolte per ottenere aiuto. Il professionista, anziché consigliare le vie legali, avrebbe deciso di mettere in contatto le vittime con esponenti della locale criminalità i quali, dopo aver assunto la titolarità del credito, sarebbero passati all’estorsione con il metodo mafioso. Secondo l’accusa, l’avvocata, perfettamente consapevole del calibro criminale di alcuni arrestati, avrebbe favorito un incontro tra le vittime ad alcuni indagati, convocandoli nel suo studio, proprio per concordare i tempi della restituzione delle somme dovute. Veniva così pattuita una dilazione del pagamento della somma di 23.000 euro che, dopo soli 20 giorni, sarebbero diventati 40.000.

Il ruolo del legale sarebbe stato quello di agevolare con le sue affermazioni, la definizione dell’accordo estorsivo, attribuendosene addirittura i meriti ed affermando di aver “chiuso l’operazione”, in tal modo contribuendo alla pressione psicologica nei confronti della vittima.

Sarebbe poi seguita un’impennata di violenza da parte di familiari del capoclan Pesce, che hanno preteso ed ottenuto – passando anche alle vie di fatto – il capitale iniziale e un’ulteriore somma di decine di migliaia di euro richiesta senza alcun titolo anche dai familiari delle vittime.

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