«Sto meglio, ma non benissimo. Ho tanto dolore». Risponde così Abdourhamane, il 22enne della Nuova Guinea che l’altra sera è stato pestato a sangue nel sottopasso della stazione da un branco di ragazzi, quando risponde al telefono e gli chiediamo come sta.
Verso le nove di sabato sera, il giovane – che risiede a Bari con regolare permesso di soggiorno – dopo aver acquistato un paio di cuffiette dal bar che si trova in piazza Moro, ha iniziato a percorrere il sottopasso dello scalo ferroviario, di ritorno da una dura giornata di lavoro in un locale di Polignano a Mare. Giunto all’altezza della scalinata del binario 9, ha visto incamminarsi verso di lui un gruppetto composto da una decina di ragazzi tra i 16 e i 20 anni, che prima lo hanno accerchiato e poi, dopo aver detto che da lì lui non poteva passare, lo hanno aggredito con calci e pugni: «C’era tanta gente intorno a me, ma nessuno ha fatto nulla – racconta Abdourhamane, che vive in Italia da cinque anni -. Questi ragazzi mi hanno fermato e mi hanno spinto. Ho chiesto perché mi stessero trattando così e loro mi hanno risposto “tu non devi passare da qua”. Poi uno di loro mi ha colpito alle spalle e sono caduto. E allora hanno iniziato a colpirmi al petto, al collo e alla testa con calci e pugni. Gridavo “Mi stanno ammazzando!” ma nessuno interveniva – aggiunte il ragazzo -, sin quando non è arrivata la polizia che mi ha salvato, facendo scappare quei ragazzi».
Abdourhamane si trova ora al Policlinico di Bari, dove i medici lo stanno sottoponendo ad una serie di esami per escludere che abbia riportato fratture o danni più gravi: «Sono tanti anni che vivo in Italia e mi trovo bene. Lavoro, ho una casa mia e non ho mai avuto questo genere di problemi – racconta con le lacrime agli occhi -. Stavo solo camminando, non avevo fatto niente di male e sono stato aggredito senza motivo. Non capisco perché mi hanno fatto questo, non è giusto. Solo perché il colore della mia pelle è diverso? Perché hanno preso di mira proprio me in mezzo a tanta gente?» si domanda Abdourhamane, che conclude: «Non credo che l’Italia sia un Paese razzista. Quei ragazzi, però, lo erano».