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Truffa allo Stato, arrestati un consulente del lavoro e un finanziere nella Bat: 50 indagati

Un consulente del lavoro originario del Barese e un militare della Guardia di finanza in servizio nel comando provinciale della Bat, entrambi 40enni, sono stati arrestati dalle Fiamme gialle con le accuse, contestate a vario titolo, associazione per delinquere, truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche, falso, rivelazione di segreto e reati tributari. Dalle…
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Un consulente del lavoro originario del Barese e un militare della Guardia di finanza in servizio nel comando provinciale della Bat, entrambi 40enni, sono stati arrestati dalle Fiamme gialle con le accuse, contestate a vario titolo, associazione per delinquere, truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche, falso, rivelazione di segreto e reati tributari.

Dalle indagini è emerso un giro di assunzioni false di personale per il quale non sarebbero stati versati i contributi previdenziali e assistenziali. Sarebbero stati accreditati su conti correnti o carte prepagate, inoltre, stipendi per lavori mai eseguiti. La truffa ai danni dello Stato si aggirerebbe sui 600mila euro.

Complessivamente gli indagati nell’inchiesta della Procura di Trani sono 50, di cui 14 a vario titolo, rispondono degli stessi reati contestati ai due finiti ai domiciliari. I finanzieri hanno eseguito anche un provvedimento di sequestro per lo stesso valore della frode.

Le indagini sono iniziate dopo una segnalazione fatta alla magistratura dall’Inps, che notava anomalie previdenziali. Secondo quanto emerso dagli accertamenti, basati anche sulle intercettazioni ambientali e telefoniche, il sistema messo in piedi dai due arrestati, sarebbe consistito nella creazione di società ad hoc per assumere «formalmente decine di lavoratori senza che venissero versati gli oneri previdenziali e assistenziali, e che fatturavano prestazioni di servizi inesistenti nei confronti di altre imprese con sede nel Nord Italia», spiega una nota della Finanza, dove i lavoratori avrebbero dovuto lavorare senza però mai farlo.

Gli stipendi sarebbero stati «monetizzati dalla associazione, mentre i due arrestati trattenevano una commissione di circa il 22%», puntualizzano gli investigatori evidenziando che vi era una associazione di tipo «familiare» gestita dal finanziere finito nei guai e che avrebbe coinvolto i suoi parenti, l’altra invece sarebbe stata di natura «professionale» e a coordinarla sarebbero stati «i due arrestati con la complicità di soggetti economici con sede in Nord Italia».

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