La moglie e i due figli di un operaio dipendente di un’azienda (la Chiome srl), operante nell’indotto dell’Arsenale militare di Taranto, morto per un carcinoma polmonare a tre anni dalla diagnosi, dovranno essere risarciti con 167.565,74 euro.
È quanto ha stabilito il Giudice del lavoro del Tribunale di Taranto, Maria Leone, riconoscendo, a favore dei familiari della vittima, il danno non patrimoniale.
Il lavoratore avrebbe contratto la patologia a causa dell’esposizione ad amianto durante la sua attività di carpentiere saldatore elettrico e tubista svolta prevalentemente nell’Arsenale di Taranto, dove si occupava di lavori di manutenzione, riparazione e revisione di macchinari a bordo di navi militari. La somma dovrà essere corrisposta dal Ministero della Difesa e dalla Chiome srl.
I familiari dell’operaio, che si erano rivolti all’Anmil (Associazione nazionale mutilati e invalidi), sono stati assistiti in giudizio dagli avvocati Maria Luigia Tritto e Cataldo Tarricone.
Una perizia disposta dal Giudice ha attestato il nesso tra la malattia professionale e l’attività lavorativa, svolta dal novembre del 1971 sino al pensionamento nel dicembre del 2001. Emidio Deandri, vicepresidente nazionale Anmil, auspica in una nota che «il dicastero non continui nel suo comportamento stigmatizzabile. Come altre pubbliche amministrazioni, infatti, quando viene condannato a risarcire un lavoratore o i suoi eredi, tergiversa e si nasconde dietro cavilli, invece di chiedere scusa e pagare subito».