Non tollerava l’affronto, tutte quelle frasi che diceva in giro su sua madre e suo padre. Non poteva sopportare che si facessero allusioni su orientamenti sessuali, relazioni extra coniugali.
Per questo, raccontano gli atti giudiziari, nel febbraio 2016 raggiunse il compagno di sua madre al chiosco di via Caduti Partigiani, nei pressi dell’allora mercato al quartiere Japigia, e gli sparò con almeno cinque colpi di pistola. È questa l’accusa che il pm antimafia di Bari, Fabio Buquicchio contesta al 39enne Filippo Mineccia, già condannato per altri omicidi (tentati e riusciti) come quello dei fratelli Rafaschieri (la condanna è a 20 anni), in un agguato avvenuto il 24 settembre 2018.
Due anni prima, il 24 febbraio del 2016, allora, raggiunse Nicola Girone a quel chiosco, dove si intratteneva, e gli sparò almeno cinque colpi di pistola calibro 7,65, uno dei quali lo colpì alla coscia sinistra, mentre l’ultimo, esploso in pieno stile mafioso, a distanza ravvicinata, lo raggiunse all’emitorace destro, mandandolo in Rianimazione dove rimase a lungo in prognosi riservata.
Una volta dimesso, la prognosi per le gravi lesioni riportate è stata di 40 giorni. Ma Girone, bersaglio dell’agguato, non fu l’unico a rimanere coinvolto. Nella sparatoria fu ferito anche un altro uomo che si trovava a poca distanza da Girone, che riportò una frattura al secondo metatarso sinistro, giudicata guaribile in 20 giorni.
Mineccia, secondo l’antimafia, agì “con metodo mafioso, avvalendosi della forza intimidatrice riveniente dal vincolo associativo”, e con “modalità mafiosa, in quanto posta in essere in maniera eclatante, in pieno giorno sulla pubblica via, tale da incutere pubblico timore e conseguente intimidazione, e provocare la totale omertà della vittima e dei presenti”.
Il processo a Mineccia, assistito dall’avvocato Nicola Quaranta, è cominciato nei mesi scorsi, e ieri dinanzi ai giudici della prima sezione penale del tribunale di Bari, si è tenuta un’importante udienza, durante la quale sono stati ascoltati tre collaboratori di giustizia del quartiere Japigia, particolarmente vicini al clan Palermiti del quale, per stretta parentela, Mineccia fa parte: Domenico Milella, Gianfranco Catalano e Domenico Lavermicocca, che hanno formito elementi utili alla ricostruzione dell’episodio.