Tre cooperative avrebbero «svolto servizi a vantaggio di società committenti della grande distribuzione. La manodopera, formalmente assunta dalle tre cooperative, era di fatto gestita dalla società più grande, una società consortile che gestiva di fatto i lavoratori assunti dalle cooperative risparmiando circa 38 milioni di euro perché ha portato in detrazione Iva fatture per operazioni inesistenti emessi dalle società cooperative». Il procuratore aggiunto Giuseppe Maralfa spiega così i dettagli dell’operazione condotta stamattina dai finanzieri del Comando provinciale di Bari che ha portato al sequestro di beni per un valore complessivo di 60 milioni di euro nei confronti di un consorzio attivo nel settore dei servizi logistici della distribuzione delle merci e tre società cooperative che operavano nello stesso settore.
I 60 milioni sono considerati il profitto di dichiarazioni fraudolente mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (per gli anni d’imposta dal 2016 al 2021) e di omesso versamento dell’Iva.
Cinque persone risultano indagate pur non essendo state sottoposte a misura: si tratta del “dominus” del consorzio e dei legali rappresentanti delle cooperative.
«L’attenzione investigativa – spiegano gli inquirenti – è stata focalizzata sulla individuazione di strutturati meccanismi di frode fiscale, che vedono il coinvolgimento di soggetti economici, operanti nei più vari settori commerciali, costituiti nella forma di cooperative, di consorzi o di società di capitali, che presentano una ingente forza lavoro e che fungono da meri ‘serbatoi’ di manodopera».
Si tratta di «meccanismi apparentemente legali» che «servono alle grandi catene societarie per risparmiare a spese dello Stato», ha detto il procuratore di Bari, Roberto Rossi: «Con quelle somme ci si possono costruire scuole, ospedali. È un meccanismo che a livello nazionale comporta 10 miliardi di euro di evasione».
Stando a quanto emerso, veniva costituite società “serbatoio”, nella maggior parte dei casi sotto forma di cooperativa o di società di capitali, che si avvicendavano nel tempo trasferendo la manodopera dall’una all’altra, evitando in questo modo sistematicamente il versamento dell’Iva e, probabilmente erodendo la base imponibile contributiva mediante la manipolazione delle buste paga.
L’evasione si basava sull’utilizzo distorto e strumentale di entità giuridiche a vita breve, legalmente rappresentate da prestanome. Queste, attraverso contratti d’appalto fittizi per prestazioni di servizi, riuscivano a nascondere somministrazioni irregolari di manodopera a favore di committenti più o meno conniventi. In questo modo si massimizzavano i guadagni attraverso il mancato pagamento delle imposte (dirette ed indirette), delle ritenute da lavoro dipendente e dei contributi previdenziali ed assicurativi.
L’attenzione investigativa è stata focalizzata, in particolare, sull’individuazione di meccanismi di frode fiscale strutturati, che hanno visto il coinvolgimento di soggetti economici, operanti nei più vari settori commerciali, costituiti nella forma di cooperative, di consorzi o di società di capitali, che presentavano una ingente forza lavoro e che fungevano da meri ”serbatoi” di manodopera.
Le evasioni fiscali e contributive di tali imprese sarebbero state preordinate a consentire la pattuizione di prezzi particolarmente vantaggiosi a beneficio di altre società definite ”filtro”, come si rileva dalle fatture emesse nei confronti di quest’ultime.
Le società ”filtro”, nella maggior parte dei casi consorzi, privi di maestranze o con un numero esiguo di dipendenti, avrebbero a loro volta fatturato le prestazioni ai committenti finali, oppure ad ulteriori ”filtri”, presenti all’unico scopo di allungare la catena commerciale ed ostacolare le attività di controllo.
«Sono soldi sottratti alla collettività e si tratta di una distorsione del mercato perché ovviamente beneficiando di questo risparmio di imposta del tutto indebito, il consorzio riusciva a praticare prezzi concorrenziali ai committenti con margini di sconto che, ovviamente, gli altri player del mercato nazionale che operano seguendo fedelmente le regole fiscali, non potevano praticare sul mercato. Si aggiudicavano, così, commessi di importi rilevantissimi», afferma il sostituto procuratore Lanfranco Marazia.