Adnkronos – Ordini impartiti dal carcere all’esterno da parte del presunto capo dell’organizzazione che imponeva sul territorio una egemonia criminale, anche in maniera feroce, attraverso un sistema di estorsione finalizzata al sostegno dei detenuti. È quanto hanno accertato i carabinieri del comando provinciale di Brindisi che hanno eseguito quattordici misure cautelari emesse dal gip del Tribunale di Lecce, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo salentino, nei confronti di altrettante persone accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, truffa ai danni dello Stato, usura, estorsioni, lesioni personali, detenzione e porto di armi da sparo, associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti ed hanno eseguito il sequestro preventivo di un immobile e di un’attività commerciale. Il valore stimato è di 600mila euro.
L’attività commerciale è risultata la base operativa e logistica dell’organizzazione, sede stabile di riunioni e incontri tra gli affiliati.
Le indagini preliminari dirette dalla Direzione distrettuale antimafia e condotte dal nucleo investigativo del comando provinciale di Brindisi tra il giugno 2020 e il giugno 2022 e avviate dopo il ritorno in libertà del promotore e organizzatore dell’associazione, elemento di spicco del clan della Sacra corona unita Pasimeni-Vitale-Vicientino, hanno dimostrato la operatività persistente dell’organizzazione malavitosa.
Dalle indagini è emerso il ruolo nel territorio brindisino di un esponente già indagato in un’altra inchiesta originariamente diretta dalla Procura della Repubblica di Brindisi e svolta dalla squadra mobile.
È stata eseguita un’ordinanza nei suoi confronti per associazione mafiosa e reati collegati allo stesso contesto investigativo.
L’inchiesta del nucleo investigativo ha tracciato la catena di comando dell’associazione criminale, dimostrando come il capo impartisse direttive dal carcere, tramite il nipote, al suo luogotenente sul territorio. Veniva così riscosso il cosiddetto “punto” o “pensiero” dagli spacciatori attivi nell’area. Questi proventi illeciti venivano utilizzati per garantire il mantenimento in carcere del capo e degli affiliati e assicurare il sostentamento economico delle loro famiglie.
Il luogotenente manteneva i rapporti con i capi degli altri gruppi che operavano all’interno della frangia dei mesagnesi oppure con esponenti della Sacra corona unita di altri territori, pretendendo il rispetto delle reciproche sfere di competenza territoriale, concordando strategie per la gestione di interessi illeciti comuni e risolvendo conflitti relativi al rispetto delle regole sulla spartizione del territorio. Inoltre dirigeva e organizzava il traffico di stupefacenti.
Parallelamente, il gruppo esercitava un controllo territoriale basato su violenza e intimidazione. Non si esitava a condurre azioni violente, come pestaggi, sia per proteggere i propri affiliati sia per recuperare crediti insoluti dai “pusher”.
A ciò si aggiungevano le estorsioni armate sistematiche ai danni di imprenditori e commercianti locali.
Infine, l’organizzazione criminale era profondamente radicata nelle attività finanziarie illecite, dedicandosi all’usura, concedendo prestiti a tassi esorbitanti, e al riciclaggio di denaro attraverso la gestione illecita di una rete di giochi e scommesse online su canali non autorizzati.
Infine, nel corso delle indagini, l’azione dei militari ha consentito di arrestare in flagranza di reato altre 13 persone e sequestrare complessivamente più di due chili di droga (cocaina, marijuana e hashish), a dimostrazione della costante pressione esercitata dall’Arma sul fenomeno criminale. Complessivamente, sono 34 le persone indagate nell’ambito del procedimento penale.










