Rimorchiatore affondato, le risposte dai corpi: cominciate le autopsie sui marinai morti nel naufragio

Tempo, cause e mezzo della morte. Rispondono ai quesiti di routine, come indicati dalla pm Luisiana Di Vittorio, gli esami autoptici sui corpi dei tre marinai morti nel rimorchiatore colato a picco la sera del 18 maggio a circa 50 miglia dalla costa di Bari, in acque internazionali. Nel pomeriggio di ieri il medico legale del Policlinico di Bari Antonio De Donno ha cominciato con la prima della tre salme recuperate nelle ore successive. L’autopsia delle altre due sarà effettuata oggi. Nel naufragio sono morti tre componenti dell’equipaggio il 65enne Luciano Bigoni e il 58enne Andrea Massimo Loi, entrambi di Ancona, e il 63enne di origini tunisine e residente a Pescara Jelali Ahmed.

Sui due ancora dispersi, i due marittimi pugliesi, entrambi di Molfetta (Bari), Mauro Mongelli di 59 anni e Sergio Bufo di 60 anni, proseguono le ricerche anche se gli investigatori non escludono possano trovarsi all’interno del relitto, a mille metri di profondità. È anche per questa ragione che la Procura sta valutando come raggiungere il rimorchiatore sul fondo dell’Adriatico.

Unico superstite tra coloro che erano a bordo della imbarcazione affondata, al momento, è il comandante, il 63enne Giuseppe Petralia, ricoverato in ospedale. Il suo racconto di quanto avvenuto, raccolto dagli uomini della Capitaneria di Porto di Bari, potrebbe fornire elementi utili alla ricostruzione di quella notte. Petralia è indagato con l’armatore, Antonio Santini, legale rappresentante della società Ilma di Ancona proprietaria del rimorchiatore e del pontone che era agganciato al mezzo affondato e che ora è sotto sequestro nel porto di Bari.

Nel fascicolo d’inchiesta si ipotizzano i reati di cooperazione colposa in naufragio e omicidio colposo plurimo. Il sequestro, infatti, «si rende necessario in quanto si devono ricostruire sia le circostanze del naufragio – si legge nel provvedimento della Procura – e sia le dinamiche relative alle operazioni di evacuazione e salvataggio delle persone a bordo del convoglio, così come le eventuali responsabilità di coloro che erano deputati a coordinare dette attività, sia il rispetto della normativa sulla sicurezza dei passeggeri e dell’equipaggio a bordo della unità navale in oggetto».

I terribili momenti di quella notte sono stati raccontati da chi si trovava sul pontone, il comandante Carmelo Sciascia: «Hanno imbarcato acqua in modo tanto rapido, che non ce l’ha fatta a mantenere la linea di galleggiamento ed è andato giù a picco», ha spiegato. In sostanza, non avrebbero nemmeno fatto a tempo ad indossare i giubbotti salvagente.

«Ho visto tutto e niente – ha aggiunto – ho detto di buttarsi in acqua, ma non ce l’hanno fatta ed i ragazzi sono andati giù» . Secondo il comandante le condizioni meteo non sarebbero state la causa principale, «c’entrano fino a un certo punto, perché c’era mare, tre metri e mezzo di nord est, e vento». Sciascia ha detto di non aver visto il comandante del rimorchiatore, «lo ha preso una nave che ho chiamato io, vedevamo la lucetta del giubbotto che si accende quando si arriva in acqua».

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