«Mio figlio ha fatto denuncia perché vuole che non succeda ancora, ad altri ragazzi come lui». Antonio e Federico (ndr, i nomi sono di fantasia) si sono presentati dai carabinieri, accompagnati dai genitori perché il “branco” venga identificato e sottoposto a misure. Perché la baby gang che ha aggredito i due 17enni domenica pomeriggio a Parco Rossani, smetta di picchiare, derubare, schernire.
Era accaduto a luglio scorso, ai danni di una coppia presa a sassate e tre minorenni erano stati sottoposti a Dacur, il Daspo urbano che per sei mesi proibiva loro di avvicinarsi al parco e di frequentare locali di intrattenimento inclusi nel quadrilatero del quartiere Carrassi.
Ora però i riflettori degli inquirenti si accendono nuovamente su quello che avviene nei viali ben curati, fiore all’occhiello dell’amministrazione. Gli investigatori, che già indagavano su fenomeni illeciti all’interno del parco, hanno acquisito le immagini delle videosorveglianza, allo scopo di identificare ragazzini e ragazzine, una decina in tutto, che domenica scorsa hanno picchiato, rapinato, offeso Antonio e Federico, pretendendo che uno dei due si inginocchiasse e chiedesse scusa per qualcosa che non aveva fatto, sputando contro di loro prima di andare via.
La paura, lo choc, non sono ancora passati e ci vorrà del tempo, ma Antonio e Federico, supportati dai loro genitori, hanno scelto di andare fino in fondo. E hanno ripetuto agli investigatori quello che avevano raccontato, all’indomani dell’aggressione, a L’Edicola del Sud. Le loro dichiarazioni sono state acquisite e sono andate ad integrare il fascicolo d’inchiesta già aperto nei mesi scorsi, subito dopo l’aggressione omofoba di luglio.
I 17enni hanno spiegato che in quel momento, alle 18.45 di un pomeriggio domenicale, non c’erano forze dell’ordine a controllare il territorio, che i genitori dei bimbi sulle vicine giostrine erano “distratti” e che quel signore al telefono poco distante si è girato dall’altra parte mentre ragazzine in minigonna sputavano su di loro e li minacciavano di morte se avessero chiamato i carabinieri.
Che a Parco Rossani ci andavano spesso, seduti su una panchina a chiacchierare di ciò che gli adolescenti sognano, di scuola, viaggi e programmi per il futuro. Che lo consideravano il posto sicuro, dove trascorrere un pomeriggio lento, in una città dove invece a volte lo svago è intossicato da droga e alcol.
E che ora a Parco Rossani non vogliono più tornare, «mio figlio se ne deve tenere lontano – rinforza la mamma di Antonio – Mi fa piacere se aumentano i controlli, per tutti gli altri ragazzi che ci vanno, ma lui lì non ci torna più».