Slitta ancora, per l’ennesima volta per una mancata notifica, il processo di appello a Domenico Colasanto, l’ex direttore generale dell’Asl di Bari, condannato in primo grado a tre anni e mezzo per omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, riqualificato rispetto alle contestazioni di morte come conseguenza di altro delitto, e omissione di atti d’ufficio perché, con il suo comportamento omissivo, non avrebbe impedito l’omicidio di Paola Labriola, la psichiatra uccisa dieci anni fa nel Centro di salute mentale di via Tenente Casale, nel quartiere Libertà di Bari.
Nell’aprile 2019 era stato condannato anche l’ex funzionario Asl Alberto Gallo a 3 anni di reclusione, per la compilazione di un falso Documento di valutazione dei rischi della struttura. Entrambi sono stati anche condannati al risarcimento dei danni da quantificarsi in sede civile nei confronti dei familiari della vittima, costituiti parte civile, con provvisionali pari a 50mila euro per ciascuno dei quattro familiari conviventi, il marito e i tre figli, e pari a 30 mila euro per ciascuno dei tre familiari non conviventi, l’ex marito, la sorella e la mamma. Gallo dovrà risarcire i danni nei confronti della Asl, costituita anche parte civile.
Ieri mattina si sarebbe dovuta tenere, in Corte d’appello, l’ultima udienza ed era anche prevista la lettura della sentenza, ma la decisione è stata nuovamente rinviata perché, per la terza volta, la fissazione dell’udienza non era stata notificata alla Asl, che nel procedimento è sia parte civile che responsabile civile. Il processo è stato quindi rinviato al prossimo 7 febbraio, nella speranza che nel frattempo anche la Asl venga inserita tra le parti destinatarie di notifica.
Per la morte di Paola Labriola, è già stato condannato in via definitiva a 30 anni di reclusione per omicidio volontario aggravato il 46enne Vincenzo Poliseno, che sta scontando la pena in carcere. L’uomo, oggi 46enne, risponde di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi. Nei primi due gradi di giudizio, in seguito a perizie psichiatriche, era stato dichiarato capace di intendere e volere. Il suo difensore, l’avvocato Filippo Castellaneta, aveva chiesto l’annullamento della sentenza di condanna ritenendo che fosse viziata la seconda perizia. Ma i giudici della Suprema Corte hanno rigettato il ricorso, rendendo definitiva la condanna.
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