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Omicidio a Molfetta, lo sfogo di Lavopa: «Per Palermiti mi sono rovinato la vita»

«Dì a mia madre che sto bene, non si deve preoccupare». Smarrito, in una cella del carcere di Bari, Michele Lavopa piange e non è ancora consapevole di quello che è successo. Nel pomeriggio di ieri ha incontrato per la prima volta dopo il drammatico interrogatorio autoaccusatorio, domenica pomeriggio, il suo difensore, l’avvocato Nicola Martino.…

«Dì a mia madre che sto bene, non si deve preoccupare». Smarrito, in una cella del carcere di Bari, Michele Lavopa piange e non è ancora consapevole di quello che è successo. Nel pomeriggio di ieri ha incontrato per la prima volta dopo il drammatico interrogatorio autoaccusatorio, domenica pomeriggio, il suo difensore, l’avvocato Nicola Martino.

Il rapporto con Eugenio

«Per quello là mi sono rovinato», si dispera il 21enne del quartiere San Paolo, che ai carabinieri aveva spiegato del rancore covato nei confronti di Eugenio Palermiti, 20enne nipote dell’omonimo capoclan del quartiere Japigia di Bari. E sempre agli inquirenti aveva raccontato l’episodio che aveva segnato il loro rapporto: sette anni fa, Palermiti lo aveva picchiato davanti ad altri amici, nei pressi del Fortino a Bari vecchia, e lo aveva immortalato in un video fatto poi girare sui telefoni di tutti i conoscenti. Dolore e rabbia, germogliati dentro di lui durante la crescita, il suo diventare giovane adulto. E per questo, oggi, ripete «La vita me l’aveva già rovinata».

La dinamica

A carabinieri e pm aveva detto che quella notte lo aveva visto entrare con il suo gruppetto, con Antonella e con il suo amico-autista Francesco Crudele, che aveva anche provato a evitarlo per «i pregressi trascorsi» , allontanandosi con Giuseppe Fresa (anche lui ora indagato), con la fidanzata e gli altri amici, in tutto una dozzina di persone. Ma che poi, mentre passava, Palermiti lo avrebbe offeso, minacciato e avrebbe impugnato un’arma. Allora Lavopa avrebbe sparato per primo.

Una vita fuori dai clan

Michele Lavopa non ci sta ad essere considerato affiliato ad un gruppo mafioso (ndr, gli Strisciuglio per la contiguità al gruppo criminale del marito di sua madre), e ripete: «Io non sto in nessun clan, a me piace vivere, mi piace la vita che facevo».

La personalità

Un solo precedente penale per rapina, quando era ancora minorenne, ma era uscito dall’Istituto per minorenni Fornelli di Baru prima della scadenza dei termini per buona condotta. Sarebbe stato visto in compagnia di piccoli spacciatori del quartiere San Paolo, ma nessun elemento lo riconduce alla caratura di un giovane boss. Il lavoro come venditore di bevande, una mamma che ha provato in ogni modo a tenerlo fuori da guai e che, domenica pomeriggio, quando i carabinieri sono andati a cercarlo a casa, è intervenuta per ricondurlo alla ragione. Mezz’ora dopo lo ha accompagnato in caserma e ha assistito all’interrogatorio, nel quale si è liberato «di un fardello».

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