Norman Atlatic, i pm ricorrono in Appello contro le assoluzioni: «L’armatore responsabile del naufragio»

Un manuale SMS, che avrebbe dovuto garantire la sicurezza sulla Norman Atlantic, invece lacunoso. Un piano di sicurezza carente, e dunque causa di compromissione dell’intera sicurezza della nave.

È questa l’aggravante di aver violato le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, uno dei punti su cui la Direzione distrettuale antimafia di Bari fonda il suo appello contro la decisione del tribunale di Bari, che ha assolto l’armatore Carlo Visentini, proprietario della nave, dall’accusa di naufragio. Quella tragedia che nella notte fra il 27 e il 28 dicembre 2014, costò la vita di 31 persone, (19 tuttora disperse) persone e il ferimento di altri 64 dei 500 passeggeri a bordo, mentre la motonave navigava nel mare in tempesta al largo delle coste albanesi sulla Patrasso-Ancona.

Per il naufragio, provocato da un incendio nato da un camion frigo rimasto con il motore acceso durante la traversa, un anno fa i giudici della prima sezione penale del tribunale di hanno condannato tre imputati assolvendone 23, ritenendo responsabile solo il comandante Argilio Giacomazzi (a 6 anni di reclusione) e i due componenti dell’equipaggio Gianluca Assante (primo ufficiale di macchina, condannato a 5 anni e 4 mesi) e il marinaio di guardia Francesco Nardulli (condannato a 3 anni).

Nelle centinaia di pagine di motivazione, i magistrati di primo grado avevano focalizzato le responsabilità in particolare su quei camion, carichi di pesce vivo, che hanno tenuto i motori accesi durante la navigazione. Il calore, poi le fiamme, alzatesi sempre più prepotenti per il forte vento che sferzava la nave, quelle condizioni meteo ampiamente previste e, nonostante tutto, non tenute in considerazione.

L’aggravante della sicurezza insufficiente, innanzitutto, manifestatasi anche nella violazione sulla distanza minima che avrebbe dovuto esserci tra i camion parcheggiati: «La documentazione sulla sicurezza – eccepiscono invece i pm Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano – deve prevedere in modo specifico il rischio lavorativo, deve prevedere le idonee ed adeguate misure atte a contenere il rischio specifico e deve mettere il lavoratore nelle condizioni di poterle attuare».

Ma non solo: i pm eccepiscono nel loro appello contro la decisione del tribunale il fatto di aver tenuto distinte le due sfere di rischio: la sicurezza della navigazione e quella dei lavoratori, che invece per la Procura coincidono. E sottolineano come l’evento dannoso si è verificato a causa dell’omessa adozione di misure e accorgimenti imposti all’imprenditore.

E ancora, a carico dell’armatore Visentini, responsabile secondo i pm di aver tardato nell’adottare la ferma decisione di impedire l’imbarco in numero eccessivo dei camion sulla nave e di aver aggiornato la questione al lunedì successivo alla partenza. Quando, ormai, era troppo tardi. I sostituti procuratori ritengono che il comandante Giacomazzi, investendo l’armatore della responsabilità, se ne sia spogliato. E per questo, anche Visentini ne deve rispondere: «I problemi che hanno determinato l’evento catastrofico – si legge ancora nell’appello -sono iniziati nella fase dell’esecuzione del contratto di noleggio con Anek, il 19 dicembre 2014. Alla data del sinistro, la Norman Atlantica aveva effettuato appena due viaggi sulla tratta Patrasso -Ancona. In pochi giorni – spiegano – si erano manifestati tutti i profili di criticità e il contrasto di maggiore importanza, quello relativo al numero di camion frigo imbarcabili, che era quello più direttamente incidente sugli interessi commerciali del noleggiatore, aveva invece portato allo scambio di un gran numero di messaggi di posta elettronica tra comandante e armatore, e tra quest’ultimo e lo skip broker Scolaro». Per la Procura, in sostanza, «l’affermazione contenuta nella mail delle 23.56 del 27 dicembre 2014, in cui polemicamente (e con la motonave ormai in navigazione per il suo ultimo viaggio), il Visentini trasmetteva la circolare della Capitaneria di porto al broker, per l’inoltro ai greci, in realtà conteneva nel capoverso successivo un’apertura, dimostrativa di voler tornare in argomento, il giorno dopo, sul tema dei cavi per l’allaccio frigo. Così dimostrando che il capitolo fosse tutt’altro che chiuso».

Altro elemento evidenziato dalla Procura riguarda la posizione dei greci, imputati nel processo e assolti per la formula del ne bis in idem, essendo già stati processati e condannati a un’ammenda di 100 euro in Grecia. Grecia che aveva rifiutato la giurisdizione italiana, avocandola a sè. Per i pm, che riprendono la giurisprudenza in materia, esiste un principio generale fondato sull’interesse di ciascuno Stato a esercitare la propria giurisdizione, per cui nessuno Stato dovrebbe essere obbligato a rinunciare alla propria giurisdizione contro la sua volontà, «tanto più – precisano – che il giudice italiano ha ripetutamente e convicentemente ritenuto la giurisdizione italiana». In tal modo, di conseguenza, la Corte d’appello dovrebbe processare anche il personale greco, in base alle sue responsabilità nel drammatico incendio e naufragio.

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