«Non esiste evidenza che nella zona della nave in cui si è originato l’incendio ci fosse un camion frigo non collegato alla rete elettrica. E non c’è evidenza che sia stato un camion frigo non collegato a determinare il rogo». Lo ha detto l’avvocato Alberto Mittone, difensore dell’armatore Carlo Visentini, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic, avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri.
La Procura ha chiesto per Visentini nove anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di naufragio e omicidio plurimo colposo con l’aggravante della colpa cosciente.
«Chiederemo che Visentini sia assolto», ha proseguito il legale nel corso della sua replica. La difesa ruota intorno alla presenza di una «corazza normativa» che «allenta la forza d’urto della colpa e potenzia quella della causalità». Una corazza che escluderebbe la «colpa specifica» dell’armatore e che sarebbe rappresentata da «norme internazionali e nazionali, da certificazioni vidimate dagli enti preposti ai controlli e del Safety management system messo a punto dall’armatore e anche in questo caso certificato».
La difesa di Visentini evidenzia l’estraneità della responsabilità dell’armatore dai tre momenti cardine del disastro: il caricamento della nave, l’incendio e l’evacuazione della stessa. «L’armatore ha messo in acqua una nave certificata e dotata di manuali comportamentali vidimati – spiega il legale – inoltre come noleggiatore è stato scelto un interlocutore affidabile». Ovvero la società greca Anek. La difesa evidenzia l’esistenza di due garanti della sicurezza a bordo della nave: l’armatore e il comandante. «Le due posizioni sono autonome, ognuna con il proprio ruolo – spiega -. L’armatore è responsabile dell’impresa, è il datore di lavoro che attrezza, raffina e autorizza l’equipaggio a fare il lavoro che fa. Le altre funzioni sono in capo al comandante».