La giudice del tribunale di Bari Susanna De Felice ha condannato a 343 anni di reclusione, con la formula del rito abbreviato, 42 imputati nell’inchiesta “Market Drugs”, che portò alla luce, a febbraio 2022, il mercato della droga a Bitonto.
Secondo quanto ricostruito nelle indagini, venivano smerciati mensilmente tra i 30 e i 40 chili di sostanza stupefacente, tra cocaina, hashish e marijuana, riuscendo a far fruttare al clan egemone, facente capo al boss Domenico Conte, guadagni dai 20 ai 30 mila euro al giorno.
La sentenza ha riguardato capi, vedette e spacciatori: 20 anni sono stati inflitti a Conte, capo dell’organizzazione, 18 anni a Mario d’Elia, braccio destro del boss, 13 anni e 4 mesi per Giovanni Di Cosimo, per Francesco Bonasia, Damiano Giordano e Giovanni Palmieri, organizzatori e dirigenti. E ancora, rispettivamente, 12, 10 e 8 mesi, e 10 anni di reclusione. Pene pari a 11 anni e 4 mesi di reclusione anche per Alessandro d’Elia e Giuseppe Antuofermo, mentre a 10 anni per Cosimo Liso (36 anni), Vincenzo Caputo, Cosimo Liso (28 anni) e il gemello Domenico Liso. Dai 9 ai due anni di reclusione, invece, per spacciatori e vedette.
Sono contestati, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico e alla illecita commercializzazione di sostanza stupefacente, aggravata dal metodo mafioso. Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 90 giorni. Gli imputati, che a Bitonto rappresentavano una diretta propaggine del clan Capriati di Bari, avrebbero controllato le piazze di spaccio della 167 (nella zona di via Pertini, protetta da portoni blindati) e nel centro storico, detta “del Ponte”, creata grazie ad un gruppo di scissionisti del clan Cipriano, contrapposto a quello di Conte.
Ed è proprio nell’ambito del contrasto tra i due gruppi criminali che il 30 dicembre 2017, nel corso di un conflitto a fuoco, fu uccisa l’84enne Anna Rosa Tarantino, vittima innocente di mafia: a premere il grilletto c’erano Rocco Papaleo e Michele Sabba (condannati a 2 anni e 8 mesi in questa inchiesta), diventati poi collaboratori di giustizia.
«La situazione di Bitonto – spiegò il prefetto Francesco Messina, direttore centrale anticrimine – ci ha ricordato un po’ Scampia. Una dimensione fortificata con tutta una serie di iniziative, anche tecnologiche, per cui il capo, da casa sua, controllava l’operato dei suoi».