Mafia a Bari, nuova inchiesta su Giacomo Olivieri: è indagato per riciclaggio

Riciclaggio. È l’ipotesi di reato che la Procura di Bari mette a sostegno di un nuovo fascicolo d’inchiesta sull’ex consigliere regionale, Giacomo Olivieri, finito in carcere il 26 febbraio scorso con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso ed estorsione. Con lui era state arrestate altre 130 persone, tra le quali sua moglie, l’ex consigliera comunale (dimessasi dopo lo scandalo), Maria Carmen Lorusso e il padre, l’oncologo Vito Lorusso. Entrambi avevano ottenuto il beneficio degli arresti domiciliari.

Il nuovo filone di indagine, coordinato dai sostituti procuratore antimafia Fabio Buquicchio, Marco D’Agostino e Bruna Manganelli, assieme al procuratore capo Roberto Rossi, nasce dagli accertamenti patrimoniali avviati durante la maxinchiesta “Codice Interno”, e si basa essenzialmente sulla perizia da 260 pagine, depositata da tre consulenti: i commercialisti Mariangela Quatraro, Leonardo De Luca e Marco Amenduni.

I tre professionisti hanno preso in esame la situazione economica di Olivieri e dei suoi due nuclei familiari (uno con la prima moglie e l’altro con Mari Lorusso), evidenziando agli inquirenti l’evidente sproporzione tra impieghi e fonti di reddito. La relazione tecnica, suddivisa per temi, ha distinto le fonti lecite di finanziamento ( redditi fiscali, rimborso finanziamento soci, Tfr ed altri emolumenti, vendite quote societarie o titoli, proventi da cessione immobili, erogazione finanziamenti bancari, altre provviste da terzi e rimborso polizze e finanziamenti esteri) da quelle, a parere dei tre, illecite.

Hanno acquisito copia dei rapporti con alcune banche, in particolare, e snocciolato i beni acquistati “in sproporzione”, esaminando i passaggi societari degli ultimi 13 anni ed evidenziando “il medesimo schema, più e più volte utilizzato dall’Olivieri per trasferire a suo beneficio risorse, creando artatamente titoli sottostanti (in fattispecie un presunto “acquisto”, in realtà mai perfezionatosi)”. Al suo fianco, secondo la Procura antimafia, una rete di prestanome, tra i quali spunta l’ultraottantenne Benito Umberto Giarletti, “uomo di fiducia dell’Olivieri, con modestissimi redditi”, e sua moglie. A entrambi, ma anche ad altri parenti sarebbero stati intestate quote societarie, affidate cariche sociali, allo scopo, ritengono gli investigatori, di nascondere la reale proprietà delle società sulle quali Olivieri avrebbe movimentato beni mobili e immobili, “Barivecchia srl”, “Comunicare srl”, “Grottole srl – società agricola”, Luxury Palace srl”, “Madonna di Grottole sas”, “Mecongress srl”, “Puglia srl” e “Rendita Immobiliare srl”.

I tre consulenti citano, tra l’altro, l’acquisto nel 2016 da parte di Maria Carmen Lorusso dell’immobile di edilizia economica e popolare in via Mastrochirico, a Polignano, di proprietà di Arca Puglia per 50mila euro. E segnalano “la particolarità del trasferimento derivante da asta pubblica, indetta da Arca Puglia, la quale ha designato per l’espletamento delle relative formalità l’avvocato Andrea Dammacco, soggetto di fiducia dell’indagato, cofondatore insieme al medesimo del movimento politico Realtà Italiana ed inserito nel gruppo di professionisti dello studio legale Olivieri”.

Modalità che hanno riscontrato nel 2017 quando è stato acquistato un terreno a Bitonto, nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare, nella quale la professionista delegata alla vendita era un’altra componente dello studio legale Olivieri.

C’è poi il capitolo banche: non solo la ex Banca popolare di Bari (di recente diventata Banca del Mezzogiorno), i cui rapporti sono emersi nel primo filone d’inchiesta, ma anche la Banca popolare di Vicenza, che nel 2012 aveva erogato ad Olivieri un mutuo da 4 milioni 200mila euro, garantito da ipoteca sugli immobili all’epoca di proprietà dell’indagato.

Le indagini condotte dalla Squadra Mobile della Questura di Bari hanno fatto emergere “un grave quadro indiziario a carico di Olivieri, “professionista esercente l’attività di avvocato, nonché persona attiva in politica a livello locale, ha realizzato nel corso degli anni numerose operazioni immobiliari utilizzando risorse bancarie in virtù di rapporti personali consolidati, spostando con estrema disinvoltura le proprietà acquisite mediante conferimenti societari e servendosi di prestanome a cui intestare le quote societarie quale schermo nei confronti dei creditori a seguito delle iniziative giudiziarie negli ultimi anni intraprese dagli stessi, ovvero di altre indagini o procedimenti penali cui era stato sottoposto”.

Dall’informativa della Squadra Mobile, ed in particolare dalle intercettazioni telefoniche, è risultato che “Olivieri ha posto in essere operazioni finanziarie piuttosto spregiudicate con Banca Popolare di Bari, avendo la compiacenza dei funzionari preposti all’erogazione dei finanziamenti richiesti”.

Particolare attenzione è stata posta poi ai finanziamenti concessi alla Fondazione Maria Rossi Olivieri Onlus, con la quale poi avrebbe messo a segno una importante operazione di distrazione dei fondi.

“Successivamente, egli pur avendo da un certo momento in poi pressochè completamente sospeso il pagamento delle rate dei finanziamenti – si legge negli atti – ha continuato a chiedere ed ottenere, sia il rinnovo delle facilitazioni già ottenute, sia ulteriori finanziamenti che sono stati in seguito ugualmente non restituiti”.

Malgrado tanto, “Banca Popolare di Bari e Banca Popolare di Vicenza – le sue maggiori finanziatrici – non hanno avviato, se non nell’ultimo periodo in cui non è stato più possibile procrastinare oltre tale inerzia, alcuna iniziativa volta a recuperare i plurimi e ingenti crediti verso l’indagato; le indagini condotte hanno dato conto di una fitta e consolidata rete di amicizie all’interno di entrambe le banche, se non di vere e proprie collusioni, tra il management apicale e sinanche tra i vertici societari e i legali incaricati dei recuperi, cui egli non ha risparmiato pressioni e minacce di attività di dossieraggio”.

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