«Tu per l’Amtab, o l’Amiu, o l’Amgas devi avere qualcuno che all’agenzia deve dire: “Domani devi chiamare dieci persone, devi chiamare Tizio, Caio e Sempronio. Gli altri non li chiamare”. Di estranei… Così alla fine non lavori mai. Una persona laureata non ha futuro, nel senso: chiamano me, perché io sono raccomandato; chiamano quello, perché quello è raccomandato da Tommaso». È il pentito Nicola De Santis, killer per il clan Capriati di Bari vecchia, ma di professione autista dei mezzi Amtab, a illustrare agli inquirenti la summa della filosofia delle assunzioni nelle municipalizzate, ma non solo.
Le sue dichiarazioni, rese il 17 gennaio 2019, sono parte dell’impianto accusatorio che, con la maxinchiesta della Dda, Codice Interno, ha portato al commissariamento dell’Amtab. Sono i pm Fabio Buquicchio e Marco D’Agostino a interrogarlo sul punto: «Chi, vicino ad ambienti criminali lavorava, o lavora nell’Amtab?», vogliono sapere. E la risposta di De Santis è eloquente: «Allora diciamo del… eh, sono parecchi, assai proprio. Più di 20, ci sono anche familiari della famiglia Campanale da sempre, Mercoledisanto. Di Japigia ne sono parecchi: Marino, Marco Manzari, sono proprio assai; questi sono entrati tutti con l’escamotage dell’agenzia».
Dopo aver elencato i più importanti (Massimo Parisi, Michele De Tullio e Tommaso Lovreglio) prova a spiegare ai pm antimafia le modalità di assunzione, che si muovono su due livelli: la politica o i clan mafiosi. «Per la famiglia Campanale c’era Leonardo – riprende – che ha messo a lavorare Mercoledisanto. Io sono entrato come politica, con l’Udc, che gli avevo fatto una campagna elettorale. Poi c’erano tutti gli altri, che o entri con la politica, entri con la famiglia, diciamo la famiglia Capriati, la famiglia …».