La casa popolare come bene per l’esercizio del potere. Ma anche come “contributo economico” alle casse di famiglia. Chi, allora, ambiva ad un alloggio popolare aveva qualche speranza di ottenerlo solo versando una tangente da 30mila euro al capoclan del quartiere Japigia, Eugenio Palermiti.
La circostanza emerge dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Bari, che da tempo tiene sotto controllo la gestione degli “affari” dei clan Parisi e Palermiti, con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e ambientali, supportate dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Domenico Milella, in particolare, in virtù della sua posizione apicale al fianco di Eugenio Palermiti, ha riferito agli inquirenti numerosi elementi importanti per entrare nelle pieghe delle organizzazioni criminali mafiose.
Della gestione delle case popolari Milella aveva parlato ampiamente, riferendo anche di collusioni con referenti dello Stato, abituati a chiudere un occhio sul business. E parlando di Mino Fortunato, un altro sodale del clan, aveva spiegato: «Aveva rapporti con il Comune. Politica non lo so, poco e buono, poco e bene, cioè non so, poco. Case popolari, ce li ha tutti questi intrallazzi qua, però non faceva vedere niente, ognuno lo teneva per sé, che era una strada sua si dice, era come un tipo, una strada del Comune, allora diventava …».
E poi aggiungeva: «Conosce qualche vigile, però a livello, sai: doveva fare il controllo sulla casa popolare e il vigile non andava, non andava proprio». Il collaboratore raccontava di «cestini fissi a Natale, pesce, e poi qualcosa di soldi sicuramente la dava. Mi ricordo che a uno, perché me la venne a cercare a me, una bicicletta elettrica, disse a me “Glielo devo regalare a uno”, o del Comune o era un vigile».
Gli elementi finora raccolti non resteranno isolati, perché le indagini sull’assegnazione delle case popolari è destinata ad allargarsi, andando a verificare le eventuali collusioni all’interno dei gangli del sistema.