Lucravano su centri d’accoglienza nel Leccese: arresti e sequestri

Sono in tutto 28 gli indagati nell’ambito di un’inchiesta per illeciti nella gestione dei centri di accoglienza straordinaria per migranti (Cas) coordinata dalla Procura di Lecce. In queste ore, gli agenti della Guardia di finanza stanno dando esecuzione a sette misure cautelari (un arresto ai domiciliari e sei interdittive, cinque divieti di esercitare attività imprenditoriale e una sospensione dai pubblici uffici).

Gli indagati sono ritenuti responsabili a vario titolo di frode in pubbliche forniture, truffa, utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, accessi abusivi alle banche dati e rivelazione di segreto d’ufficio.

Le indagini, condotte dai finanzieri della compagnia di Otranto, hanno ricostruito vari profili di illecito: gli ospiti stranieri vivevano in condizioni diverse da quelle previste dai contratti di servizio e delle pubbliche forniture. In alcuni casi, inoltre, la società ospitante certificava la presenza di numerosi cittadini stranieri che in realtà si erano allontanati dalle strutture da diverso tempo, in modo tale da percepire la quota giornaliera spettante per la presenza sul territorio nazionale.

Ricostruito anche un meccanismo di frode fiscale finalizzato ad evadere l’imposta sul valore aggiunto, sfruttando società cartiere, che ha prodotto una massa impositiva sottratta all’erario pari a circa 3,5 milioni di euro di ricavi non dichiarati, in aggiunta alle violazioni Iva, per un giro di fatture per operazioni inesistenti di circa 2 milioni di euro.

Il provvedimento del gip prevede anche il sequestro di conti correnti ed immobili per un valore di oltre due milioni di euro, pari al profitto dei reati contestati agli indagati. Sono emersi anche reati ambientali.

È stato accertato il deturpamento paesaggistico, con annessi lavori abusivi, nella fase di riqualificazione interna ed esterna di alcuni fabbricati esistenti in località Acquaviva della marina di Diso, da destinare a struttura turistico-ricettiva, nonché lo smaltimento illecito del materiale di risulta disgaggiato dalla falesia di Santa Cesarea Terme che veniva disperso nella zona marittima circostante il cantiere.

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