Un’ondata di sdegno ha investito i social media dopo la chiusura di un profilo TikTok intitolato “Pentiti brindisini” la cui descrizione recitava: «Su questa pagina verranno pubblicati tutti i pentiti, infami e confidenti». Il profilo, che vantava quasi 2.500 like e 1.600 follower, era diventato un vero e proprio palcoscenico digitale per attacchi violenti e diffamatori nei confronti dei collaboratori di giustizia della Sacra Corona Unita. Attraverso video, foto e stralci di verbali, il profilo anonimo screditava pubblicamente coloro che avevano deciso di collaborare con la giustizia, suscitando un’ampia eco mediatica.
Nel giro di poche ore, un altro profilo simile è stato creato, in cui sono stati postati i servizi giornalistici che si sono occupati del caso.
«Nonostante i numerosi arresti – denuncia Libera Puglia – e gli importanti processi operati contro di essa dagli anni ’90 ad oggi, la mafia del brindisino torna a mettersi in mostra, a minacciare e purtroppo continua ad avere un seguito, tanto che la pagina social, prima che fosse chiusa, aveva vari commenti e alcune migliaia di “mi piace” e followers».
La propaganda mafiosa
L’utilizzo dei social media da parte della criminalità organizzata non è una novità. Tuttavia, nel caso di Brindisi, questo fenomeno assume connotati particolarmente preoccupanti. I giovani, sempre più connessi al mondo digitale, rappresentano un target particolarmente vulnerabile alla propaganda mafiosa. Le false promesse di potere e ricchezza, veicolate attraverso i social, possono facilmente sedurre chi è alla ricerca di un’identità e di un senso di appartenenza. «Non è la prima volta – prosegue Libera – che la mafia imprenditrice del Salento, che basa forza e consenso sociale sugli ingenti guadagni dei traffici di sostanze stupefacenti e sul loro reinvestimento, arriva a diffondere, in particolare nel brindisino, i propri ordini e messaggi non solo attraverso le modalità storiche ma anche tramite i più moderni social, che vengono utilizzati maggiormente dai giovani. Questo ci preoccupa, perché sono la fascia di popolazione più facilmente permeabile dai disvalori e dalle false promesse delle mafie».
Le sfide del futuro
Per sradicare la mafia, non basta l’azione repressiva. È necessario un approccio multidisciplinare che tenga conto delle radici economiche, sociali e culturali del fenomeno. «Serve un maggiore impegno delle istituzioni e di tutta la cittadinanza per intervenire sulle condizioni che ancora oggi alimentano la Scu – sottolinea Libera – È urgente restituire alle persone servizi, lavoro dignitoso e opportunità di crescita».
Il ruolo della società civile
La lotta alla mafia è una battaglia che coinvolge tutti. Ognuno di noi può fare la propria parte, denunciando i soprusi, sostenendo le associazioni che operano sul territorio e diffondendo una cultura della legalità. «Occorre interrogarsi su quali siano le persone e le realtà che dimostrano con l’esempio quotidiano l’impegno antimafia», invita Libera.