«Intercettazioni che non siano usate come mezzi di prova? D’accordo, il ministro Nordio ha ragione, ma che non sia un tentativo di gettare il bambino con l’acqua sporca». Nicola Colaianni, già consigliere della Corte di cassazione e ordinario di diritto ecclesiastico all’Università di Bari, avverte: «Il ministro ha messo insieme molta carne a cuocere, il timore è che si voglia intervenire sulle garanzie per la collettività».
La riforma delle intercettazioni e del codice penale, annunciata dal Guardasigilli fa già discutere.
«Ho sentito le dichiarazioni del ministro, ha messo in evidenza alcuni punti su intercettazioni che si possono anche discutere. Il problema è che lui non ha indicato nessuna precisa riforma che intenderebbe fare».
Ci spieghi.
«La cosa più interessante è che lui ha detto che le intercettazioni sono dei mezzi di ricerca della prova e non devono essere utilizzati come mezzi di prova. Questo è giustissimo, perché sta nel codice e i mezzi di ricerca della prova si usano solo nelle indagini preliminari, come ad esempio perquisizioni, sequestri, e non devono essere usate come prova nel dibattimento perché la prova si forma nel dibattimento. Devono servire per essere rinforzate con l’esame delle parti, documenti, testimonianze».
In alcuni processi ci si limita però solo alle intercettazioni o prevalentemente alle intercettazioni.
«È vero, a volte la prova in dibattimento è scadente, tant’è che si arriva ad assoluzioni. Questo è un difetto, ma come si fa a risolverlo? Lui non l’ha detto, è molto difficile, a meno che uno dica che siccome c’è l’acqua sporca, gettiamo anche il bambino… Questo è il mio timore perché oggi le intercettazioni sono necessarie».
A cosa in particolare?
«In una società connessa, lo strumento prevalente per ricercare la prova sono le intercettazioni per la gran massa di reati, i reati associativi ad esempio, ma anche quelli contro la pubblica amministrazione, sono fondamentali».
Il ministro evidenzia un abuso, un difetto dei singoli processi nell’utilizzo di questi mezzi.
«Certo, ci può essere, se ci sono assoluzioni vuol dire che sono state difettose le indagini. Ma come si fa a evitare questi difetti? Io penso che l’unico modo sia il solito rimedio processuale: il giudice che deve valutare le prove e dire che non sono sufficienti. Il ministro invece parla di una riforma ma non ha detto quale, il timore è che si vada a un drastico taglio delle possibilità delle intercettazioni, l’acqua sporca c’è ma il problema è quello di salvare il bambino».
Lui poi però ha parlato anche di altre misure.
«L’obbligatorietà dell’azione penale, ad esempio, che sarebbe addirittura riforma costituzionale, ha messo insieme molta carne a cuocere, l’idea è che si voglia intervenire sulle garanzie per la collettività. Se ci sono degli abusi, bisogna frenarli, eliminarli, ma il processo e le indagini sono garanzia per tutti noi, l’obbligatorietà dell’azione penale nasce da lì, è un principio costituzionale: non si può dare al procuratore della repubblica la discrezionalità di perseguire determinati reati e non altri, era quella che vigeva sotto il fascismo, la costituzione ha voluto che non ci fosse e che quindi ogni azione penale dovesse essere obbligatoria, ogni notizia di reato accertata dal pubblico ministero».
Nelle intenzioni del ministro le cose coincidono.
«Unire intercettazioni da ridurre e rivedere il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale fa pensare ad una grande riforma del codice di procedura penale che potrà anche reprimere determinati abusi ma il rischio è che alla fine abbiamo un codice del tutto diverso da quello che siamo abituati a conoscere, che conduce a garanzie non solo dell’imputato ma della collettività».