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In cancelleria gli “aiutanti” del magistrato: le distorsioni degli assunti nell’Ufficio per il processo

Vanno in udienza, tengono in ordine l’archivio, trasportano fascicoli, depositano sentenze e, da alcuni mesi, sono utilizzati per smaltire il cronico arretrato dell’ufficio esecuzione. Altro che “aiutanti” dei magistrati, i giovani dell’Ufficio per il processo, nel distretto di Corte d’appello di Bari, sono ormai ridotti a fare i funzionari amministrativi tout court, con buona pace…

Vanno in udienza, tengono in ordine l’archivio, trasportano fascicoli, depositano sentenze e, da alcuni mesi, sono utilizzati per smaltire il cronico arretrato dell’ufficio esecuzione.

Altro che “aiutanti” dei magistrati, i giovani dell’Ufficio per il processo, nel distretto di Corte d’appello di Bari, sono ormai ridotti a fare i funzionari amministrativi tout court, con buona pace dell’obiettivo posto dal ministero della Giustizia e finanziato dal Pnrr: “garantire la ragionevole durata del processo, attraverso l’innovazione dei modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.

Erano 88 quelli entrati con concorso in Corte d’appello di Bari nel febbraio 2022, 130 quelli destinati al tribunale. Oggi sono più che dimezzati, nonostante lo scorrimento delle graduatorie, e con numerosi posti vacanti: quelli che hanno avuto altre possibilità, con maggiori garanzie a lungo termine, hanno scelto altre strade.

La questione, infatti, ha due grosse lacune. Una di tipo qualitativo, e cioè relativa allo svolgimento di tutte quelle mansioni di tipo amministrativo che, potenzialmente rientrano nel contratto, ma che si consideravano residuali rispetto all’obiettivo primario: uno staff che coadiuvi i magistrati “nell’espletamento delle loro molteplici attività – scrive il ministero – complementari rispetto a quelle propriamente connesse alla giurisdizione”.

Ove questo non bastasse, i giovani vincitori di concorso, selezionati tra i migliori laureati e con curriculum di rilievo, non hanno alcuna certezza del domani: il contratto, della durata di 31 mesi, scade a settembre 2024. L’ipotesi di una proroga fino a giugno 2026, ventilata in sede di modifica al Pnrr, non equivale all’auspicata stabilizzazione.

La questione, in realtà, è nazionale. E per questo ieri hanno manifestato in tremila, sostenuti dalla Funzione Pubblica Cgil, durante lo sciopero generale: «Servono investimenti straordinari per un piano occupazionale strutturale – è stato ribadito – Un investimento strategico che porti ad assunzioni stabili, in grado di continuare a supportare l’amministrazione nel centrare gli obiettivi assegnati, e mantenere l’efficienza. Investimenti dei quali, ad oggi, non c’è traccia, né sono programmati nella prossima legge di bilancio».

Intanto, in Corte d’appello, si lavora alacremente per smaltire l’arretrato: oltre 10mila (le stime ufficiali) le sentenze che ancora devono passare dall’ufficio esecuzione, soprattutto in previsione della periodica ispezione ministeriale, prevista per maggio 2024.

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