I summit mafiosi, quelli accessibili solo ai più alti in grado, si tenevano in una villa segreta, in agro di Triggiano, con accesso da strada Cutizza, non distante dal centro commerciale Bariblu. Una villa abusiva, costruita su un vecchio rudere e circondata da un ettaro di terreno, il cui feudatario è Eugenio Palermiti, “Il Nonno”, capo indiscusso dell’omonimo clan di Japigia.
È il suo ex braccio destro, l’uomo di fiducia che lo ha “tradito” pentendosi, Domenico Milella, a condurre sul posto gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Bari e il pm antimafia, Fabio Buquicchio. Le sue dichiarazioni, già pietra miliare di numerosi procedimenti a carico dei Parisi-Palermiti, sostengono anche l’ossatura di nuove misure di prevenzione chieste dal magistrato della Dda e che saranno discusse in aula, dinanzi ai giudici della specifica sezione del tribunale di Bari, il prossimo 21 febbraio. Nel frattempo, la memoria depositata agli atti, analizza tutte le proprietà dello storico boss barese, nel feudo di Japigia.
«Là è tutto abusivo – spiega Milella – Però abusivo, se c’hai una torretta, viene fotografata come una… che c’era una torretta prima e tu l’hai rimodernata, là risulta come che hai… Questa villa mi sembra che c’ha uno, proprio dentro, si chiama Franchino… ‘u Picuzzar’, lo chiamavano, però non so il cognome, sta sempre lì dentro, gliel’aggiusta lui, cioè gliela gestisce lui e il fratello va. Franco va sempre, c’ha i cavoli, peperoni piantati. Però da dentro è bella, però non va mai perché ha paura… E c’ha gli animali, sono parecchi animali: maiali, cavalli, pecore, agnelli».
A conferma di quanto detto da Milella, arrivano le dichiarazioni di un altro pentito, Gianfranco Catalano: «Domenico Milella mi disse: “Eugenio Palermiti, che conoscete voi al vecchio! Eugenio sta comodo comodo comodo, c’ha una villa ad una parte dove nessuno sa, in mezzo alla campagna a Japigia – disse – nessuno sa, solo io sono andato un paio di volte”. E mi parlava di una villa, disse “Gianfra’, come vai sta un cancello enorme, nero, marrone, ma nessuno sa dov’è”. Doveva essere dalla strada della campagna che collega la strada da Japigia a Triggiano».
La villa era già stata sequestrata dal tribunale, ma per un errore materiale erano stati lasciati fuori i terreni e altri manufatti attigui, sempre abusivi. E poi, come spiega l’amministratore giudiziario, a guardia ci sono due cani mastini. Ora il pm chiede la confisca di villa e terreni circostanti.
E poi il garage, il “Gran Autolavaggio”, confinante con casa Palermiti, in via Padre Pio, civici 1 e 3, sotto l’omonimo ponte barese. La storia dell’attività, che secondo gli inquirenti sarebbe egualmente riconducibile a Eugenio Palermiti (per questo se ne chiede la confisca assieme ad altri beni), è ancora una volta nelle parole dei pentiti, nei retroscena che, oltre che tracciare uno spaccato “sociale” del clan, rappresenta per la Dda una conferma alla tesi.
Per due motivi: il primo è rappresentato da colui che lo gestisce, un prestanome per gli inquirenti, legato al clan. «Uno stretto rapporto di natura prevalentemente affaristico-criminale», lo definisce il pm, che riporta ancora una volta le dichiarazioni di Milella: «Lui si vuole affiliare, quello era affiliato a Di Cosola. Lui mo’ si voleva affiliare a Palermiti Eugenio, però non lo voleva fare perché lo voleva tenere pulito, per non sporcarlo. Se lui c’ha le cose del figlio, , dice: “Perché devi fare questa cosa? Sei già amico con noi, stai già a società con noi”».
Il secondo, di non poco conto è una porta, sul retro del garage, che conduce direttamente a casa di Giovanni Palermiti, «c’ha una villa di lusso. Là hanno preso il contadino e l’hanno minacciato – prosegue Milella – Lui da quà entra nella casa, ha la porta segreta da dietro».
Lo conferma Catalano: «È una porta secondaria per correre, perché parecchie volte quando c’erano dei blitz, ci siamo stati… Gianni c’era un periodo che aveva la ritirata alle nove, la vigilata e noi andavamo alla villa di Gianni e ci mettevamo… spegnevamo tutte le luci e ci mettevamo sul terrazzo, se vedevamo che si alzava l’elicottero, ce ne dovevamo scappare tutti dalla ferrovia, da dietro alla villa di Gianni c’è una ferrovia».