Il Sappe dopo le richieste di condanna per poliziotti penitenziari del carcere di Bari: «Non fu tortura»

Se si «vogliono punire i poliziotti per un’azione deprecabile avvenuta in una situazione di estremo pericolo e di stress lo facciano pure, però non parliamo di tortura che nulla ha a che fare con quanto accaduto quella maledetta notte». Lo afferma il segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), Federico Pilagatti, dopo le undici richieste di condanna, dagli otto anni di reclusione a una sanzione pecuniaria di 60 euro, formulate nei giorni scorsi dal procuratore aggiunto di Bari, Giuseppe Maralfa, nel processo che vede imputati, tra gli altri, cinque agenti della polizia penitenziaria per le presunte torture commesse a danno di un detenuto psichiatrico che aveva dato fuoco a un materasso nella sua cella del carcere di Bari il 27 aprile del 2022.

Per Pilagatti «la grossa violazione che sarebbe stata fatta dai poliziotti (secondo i regolamenti penitenziari) sarebbe stata quella di essere intervenuti per salvare la vita al detenuto, nonché aprire i 130 ristretti della sezione per portarli al sicuro mentre il fumo aveva invaso tutta la sezione, non aspettando i rinforzi a partire dal comandante di reparto e il personale fuori servizio».

Il segretario del Sappe evidenzia che «forse alla fine i più umani di tutti potrebbero essere proprio quei poliziotti che violando la legge hanno salvato la vita ad un detenuto ed evitato una sanguinosa rivolta e che hanno sbagliato sotto l’effetto di uno stress inimmaginabile per chiunque, ma sicuramente hanno evitato il peggio per tutti».

Il sindacato, conclude Pilagatti, si aspettava «che oltre al video in cui si vedono i poliziotti scalciare il detenuto, si risalisse anche ad eventuali responsabilità di chi avrebbe stabilito la collocazione del detenuto con seri problemi psichiatrici nella seconda sezione».

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