Fece da vedetta a San Marco in Lamis: ecco perché Caterino sconta l’ergastolo

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, innanzitutto, la cui attendibilità viene ribadita dai giudici della Corte d’assise d’appello nelle motivazioni alla sentenza con cui, nel novembre scorso, hanno confermato la condanna all’ergastolo (aggiungendo l’isolamento diurno per 18 mesi) per Giovanni Caterino, uno dei componenti il commando che il 9 agosto 2017 portò a termine la cosiddetta strage di San Marco in Lamis.

Quella mattina, in un agguato al boss Mario Luciano Romito, a capo dell’omonimo clan, morirono anche Matteo De Palma, che si trovava nell’auto con lui e gli innocenti fratelli agricoltori Aurelio e Luigi Luciani, che in quel momento attraversavano con il loro furgone la strada maledetta. I quattro furono crivellati di colpi esplosi con un fucile calibro 12, un kalashnikov e una pistola calibro 9, e quando erano già morti, contro Romito ne furono esplosi altri, a dimostrazione della forza schiacciante del clan opposto, i Libergolis, allo scopo di intimorire la gente del luogo.

A certificare la presenza di Caterino, quella mattina, in qualità di “bacchetta” (termine in gergo con cui si indica la staffetta) con una Fiat Grande Punto, era stato in particolare Andrea Quitadamo, che in carcere aveva appreso particolari sul quadruplice omicidio. Le sue dichiarazioni sono state poi corroborate da elementi di riscontro oggettivo, quali le numerose intercettazioni ambientali. Una, in particolare, lo avrebbe incastrato. Ed è quella che riguarda la presenza di una telecamera nei pressi di una rivendita di tabacchi in una frazione di Rignano Garganico, che aveva immortalato il pedinamento, da parte di Caterino, dell’auto su cui viaggiava Romito: «Secondo te là sopra sta una telecamera? Quella che ti ha ripigliato», pronunciata da un sodale, aveva come risposta da Caterino: «La bastarda, la vedi dove sta». Frase che, per i giudici di secondo grado (come per quelli di primo) equivale a una sostanziale confessione.

Le motivazioni della Corte d’assise d’appello affrontano anche la questione dell’sms, che Caterino avrebbe ricevuto sul suo telefono mentre si trovava in una cella diversa da quella della strade. Una consulenza tecnica ha invece sostenuto che si tratta di un sms passivo, che non dimostra la presenza fisica di Caterino, a differenza di un sms attivo o di una telefonata.

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