Due agenti di polizia penitenziaria del carcere di Trani sono stati sospesi nell’ambito della indagine che nel 2021 ha portato all’arresto dei due poliziotti: secondo quanto accertato dagli inquirenti, gli agenti coinvolti avrebbero favorito i detenuti nei colloqui con i parenti durante il lockdown, in cambio di regali e denaro.
Complessivamente sono indagate 29 persone, tra agenti, detenuti e loro famigliari, accusate a vario titolo di depistaggio, peculato, corruzione, concussione e abuso d’ufficio.
Uno dei due destinatari della misura interdittiva, all’epoca dei fatti era il comandante del reparto di polizia penitenziaria del carcere di Trani. Inizialmente il gip non aveva accolto le richieste della pubblica accusa, pur ritenendo provati i fatti contestati, riferisce in una nota la Procura.
«Il giudice – si legge – aveva condiviso l’ipotesi in base alla quale l’indagato avrebbe cancellato le memorie dei telefoni in uso alla Casa circondariale al fine di eliminare le tracce delle irregolarità nella gestione delle conversazioni in periodo di pandemia, escludendo però la possibilità di qualificare come depistaggio tale condotta».
La decisione del gip è stata impugnata dalla Procura e il Tribunale del Riesame di Bari, con ordinanza confermata dalla Corte di Cassazione, ha irrogato la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio. In relazione alle ipotesi di corruzione, per favorire incontri irregolari fra detenuti e familiari, contestate al secondo agente, il gip aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di reato, escludendo tuttavia esigenze cautelari.
Il Tribunale del Riesame di Bari ha però disposto la sospensione dal pubblico ufficio, evidenziando che, «in particolar modo» lo «stretto e confidenziale rapporto tra i pubblici ufficiali e i privati protagonisti degli episodi corruttivi, induce a ritenere le condotte monitorate non occasionali e anzi frutto di un consolidato modus operandi».