Cinque persone, ritenute “elementi di vertice” del clan Pesce-Pistillo di Andria, sono state arrestate in un’operazione condotta dalle squadre mobili della Bat e di Bari, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo pugliese. Le accuse sono di estorsione, consumata e tentata, e usura, aggravate dal metodo mafioso, oltre alla detenzione illegale e al porto di armi in luogo pubblico.
L’indagine è stata condotta dagli investigatori del servizio centrale operativo della sezione investigativa di Bari e delle squadre mobili di Bari e di Barletta Andria Trani.
Stando a quanto emerso nel corso delle indagini, gli indagati sarebbero tornati subito “in pista” dopo essere stati scarcerati dimostrando, si legge in una nota degli inquirenti, «una rinnovata potenza criminale propria e del clan di appartenenza».
La «rinnovata pericolosità» del clan Pesce era già emersa con il fenomeno dei cosiddetti “sequestri lampo” di persone creando anche allarme tra i gruppi criminali andriesi, come emerso da alcune intercettazioni, per il «sistema estorsivo avviato nel territorio dal clan Pesce che, nell’ottica di successive dinamiche criminali, era divenuta un’autonoma articolazione rispetto al clan Pistillo, pur mantenendo rapporti non conflittuali; quindi, una “gemmazione” dell’associazione che ha visto congiunti del clan Pesce “automizzarsi” con un proprio sodalizio».
Tra gli episodi di estorsione che hanno portato agli arresti di oggi c’è quello ai danni di un agente della Polizia locale che aveva avuto un incidente stradale con uno degli indagati ed era stato costretto a riparane la macchina oltre che a non denunciare quanto accaduto subendo «comportamenti propri dell’intimidazione mafiosa».
Il secondo episodio vede come vittime più persone, legate da vincoli di parentela, costrette con violenza e minaccia a dover pagare somme di denaro esorbitanti con un tasso di interesse usurario, per restituire un prestito chiesto da una delle vittime ad alcuni degli indagati. Le vittime hanno dovuto sottostare alle richieste degli indagati che chiedevano la restituzione, oltre che del denaro prestato, anche di un’ulteriore somma di decine di migliaia di euro.
Uno degli arrestati, inoltre, con la complicità di un altro indagato, avrebbe minacciato una persona utilizzando una pistola. La vittima non ha subito più gravi conseguenze solo perché la notte in cui è stato minacciato si trovava in compagnia della propria famiglia.
Le indagini hanno consentito di accertare «l’esistenza della forza intimidatrice del clan, che ha determinato un clima di omertà al punto tale che nessuna delle vittime ha denunciato i fatti».
Gli indagati, arrestati la mattina del 29 settembre scorso, si trovano ora in carcere, sottoposti a fermo di indiziato di delitto a seguito dell’udienza celebratasi ieri mattina dinanzi al gip del tribunale di Trani.