Entrare in un carcere oscura lo stato d’animo. La luce artificiale dei neon sostituisce i raggi del sole che si muovono liberi, un passaggio sancito dal rumore delle porte che si chiudono alle spalle. E chi scrive ci ha trascorso solo tre ore. Si pensi a chi, invece, vive per anni in luoghi di questo tipo, isole nella società, pianeti verso cui chi sta fuori, il più delle volte, nutre indifferenza o, peggio, disprezzo.
Si dirà: «Se l’è cercata». Ed è così, perché se non avesse commesso un reato, non sarebbe in carcere. Ma è legittimo che anche un detenuto viva dignitosamente pur dovendo espiare la propria pena? È legittimo che il carcere sia un luogo dove rieducarsi, rinascere? Oppure, vogliamo che rimanga un cimitero dei vivi, della società? In questi spazi si incontra la parte fragile delle nostre comunità e che, per questo, va assistita.
Proprio per mostrare vicinanza nei confronti dei detenuti e del personale e scattare una fotografia della loro condizione, gli avvocati della Camera Penale di Trani hanno visitato la casa circondariale maschile della città.
La visita
Un luogo, quest’ultimo, in cui, secondo quanto emerso, non si vive una situazione tragica, come accade in altre zone d’Italia, ma che presenta alcune criticità rilevate lunedì dai penalisti del Nord barese. Stando ai dati forniti dal direttore degli istituti penitenziari di Trani, Giuseppe Altomare, e dal comandante della polizia penitenziaria, Felice Nazareno De Pinto, sono 384 i detenuti presenti (secondo la capienza regolamentare dovrebbero essere 323).
Anche a Trani, perciò, è registrabile una percentuale di sovraffollamento. Quelli con condanne definitive sono 222, mentre coloro che devono scontare la pena in meno di due anni 137; 40 gli stranieri. Zero i suicidi negli ultimi due anni. Almeno una decina, invece, i tentativi, messi in atto dagli stessi soggetti, in gran parte psichiatrici, e sventati dagli agenti della polizia penitenziaria (che sono sotto organico e lavorano otto ore al giorno anziché sei).
L’area sanitaria
Ma la difficoltà maggiore riguarda l’ambito sanitario, diretto dal dottor Giuseppe Vitrani, perché mancano medici specialisti. Addirittura, non c’è un’unità ginecologica interna nella casa di reclusione femminile (in cui, peraltro, da mesi ormai ci si lava con acqua fredda). Delicata la vicenda di salute di un detenuto. Si tratta di un 54enne che uscirà fra otto mesi circa. È un soggetto obeso e che ha difficoltà respiratorie. Di notte, per evitare apnee, è costretto a dormire su uno sgabello.