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Ecco gli effetti dell’inflazione: a Bari cresce l’usura di prossimità

Un tunnel infinito da cui non si riesce più ad uscire. È questo quello che sta accadendo alle sempre più numerose famiglie baresi, che, pressate dal carovita, decidono di rivolgersi agli strozzini. Lo fanno per pagare le rette delle università ai propri figli, ma anche per riuscire a chiudere i conti con le banche, soprattutto…

Un tunnel infinito da cui non si riesce più ad uscire. È questo quello che sta accadendo alle sempre più numerose famiglie baresi, che, pressate dal carovita, decidono di rivolgersi agli strozzini. Lo fanno per pagare le rette delle università ai propri figli, ma anche per riuscire a chiudere i conti con le banche, soprattutto nel caso di mutui a tasso variabile. E chiedono così “aiuto” agli usurai, non necessariamente grandi criminali, ma sempre di più piccoli strozzini che fioriscono all’interno del proprio quartiere, della propria via, del proprio palazzo.

È l’usura di prossimità la prima grande conseguenza provocata dall’inflazione galoppante che sta piegando famiglie e imprese. Un fenomeno cominciato già dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19 e che in questi ultimi mesi non accenna a diminuire.

Lo conferma anche il dossier “Indice della criminalità”, diffuso dal Sole24Ore, che fa di Bari la terza città in Italia per denunce contro gli usurai nel 2021 (una ogni 100mila abitanti). Fanno peggio del capoluogo pugliese solo Ragusa (1,3 denunce ogni 100mila abitanti) e Chieti (1,1 denunce ogni 100mila abitanti).

Per quanto riguarda Bari, a partire da febbraio e durante i mesi successivi, le persone che si sono rivolte alle fondazioni facenti parte della Consulta nazionale anti-usura “Giovanni Paolo II” sono in crescita. Ma questa volta, c’è una novità. Perché la maggior parte di quanti si rivolgono agli sportelli di ascolto delle associazioni, non sono più, come in passato, gli operatori economici. Sono, invece, le famiglie. E non solo quelle con redditi bassi, ma anche i nuclei con redditi medi che, a fine mese, non ce la fanno più a sostenere le spese. A partire dalle bollette di gas e luce, aumentate del 70% nell’arco di poco più di sei mesi, fino alle rette universitarie per pagare gli studi dei propri figli.

Il maggior numero di famiglie che scelgono di rivolgersi agli usurai sono però, sempre quelle non bancabili che, cioè, non possono accedere al credito bancario perché non ne hanno i requisiti. I componenti di questi nuclei cercano uno strozzino vicino, anche fisicamente, attraverso il passaparola di persone già coinvolte nel fenomeno. Dallo strozzino di turno prendono quanto necessario per pagare bollette e rate. Il problema è che non riescono, nella maggior parte dei casi, a ripagare il debito contratto con l’usuraio, finendo in un tunnel pericoloso fatto di svendite e minacce. Secondo lo studio condotto dalla Consulta, la pandemia ha incrementato l’usura, colpendo principalmente «coloro che, pur avendo un lavoro, percepivano stipendi appena sufficienti a stare a galla nonché una gran parte del ceto medio, spinta via via lungo il declino». Ed è così che si apre la strada all’usura. Sono, quindi, soprattutto le famiglie che si stanno rivolgendo agli strozzini di prossimità. Con un grave deficit della nostra legislazione che prevede sì una legge anti-usura, la 108 del 1996 ma che, come sottolineato dalla Consulta, protegge principalmente gli operatori economici e non i nuclei familiari.

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