Furono accusati di frode sportiva e associazione a delinquere otto anni fa: oggi arriva l’archiviazione del caso. Finisce quindi un incubo per Antonio e Giorgio Flora, padre e figlio, rispettivamente ex presidente e vicepresidente del Brindisi Calcio.
Era il maggio del 2015 quando il Brindisi, allora uno dei top club del girone H di Serie D, venne travolto dall’inchiesta “Dirty Soccer”. I fatti risalgono al dicembre del 2014, quando la Procura della Repubblica di Catanzaro ipotizzò l’esistenza di un’associazione per delinquere, finalizzata ad alterare i risultati di alcune partite di calcio, col fine di trarre guadagno dalle scommesse effettuate dagli affiliati dell’associazione.
Tante le partite finite nel mirino dei pm, dalla Serie B al campionato di Eccellenza. Le gare che i dirigenti del Brindisi erano stati accusati di aver truccato sono: Brindisi-San Severo (2-1) e Pomigliano-Brindisi (0-4). Per i Flora, all’epoca accusati di frode sportiva e associazione per delinquere, la seconda accusa cadde immediatamente in quanto «dalle intercettazioni indicate nel decreto di fermo non compariva alcun collegamento» tra loro e Antonio Ciccarone, Mario Moxedano e Pietro Iannazzo.
I primi due erano rispettivamente direttore sportivo e presidente del Neapolis, compagine militante nel campionato Lega Nazionale Dilettanti, serie D – Girone I, il terzo invece era un personaggio di primo piano della ‘ndrangheta calabrese nonché esponente di spicco della omonima cosca di Lamezia Terme.
Moxedano, Iannazzo e Ciccarone, come emerge dal provvedimento del Tribunale di Napoli, avrebbero organizzato frodi sportive il cui scopo sarebbe stato quello di procurare la vittoria del campionato al Neapolis, ma che si sarebbero estese anche a gironi diversi da quello del club campano. Così, Moxedano e Ciccarone sarebbero venuti a conoscenza di altre società, come il Brindisi, che «perseguivano li medesimo scopo di vincere li campionato, in un girone diverso da quello del Neapolis, ma con i medesimi mezzi e, cioè, attraverso “combine” di partite».
Flora, come lui stesso ammise, chiese al proprio direttore sportivo Savino Daleno, accusato dei medesimi reati, di «attivarsi per far vincere la propria squadra». A seguito di quel procedimento, che scosse l’intera Italia “calcistica”, l’ex presidente del Brindisi Flora lasciò il club. I successivi proprietari del Brindisi, invece, rinunciarono a difendersi in sede di giustizia sportiva (dove Antonio Flora venne assolto) e il Brindisi fu l’unica società, tra quelle coinvolte, a scomparire dal calcio.
Il gip, dopo aver esaminato gli atti dell’inchiesta e letto la richiesta di archiviazione presentata dal pm, ha ritenuto come «meritevole di accoglimento la motivazione spesa dal pubblico ministero a sostegno della richiesta di archiviazione». In quanto «dall’attività di indagine scrupolosamente posta in essere dalla Procura non emerge la sussistenza di qualsivoglia elemento probatorio idoneo a fondare al responsabilità penale degli indagati».