Difende una donna accusata di contraffazione: intercettato l’avvocato

“Non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori. Quando le comunicazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente”. Lo stabilisce l’articolo 103, comma quinto e settimo, del codice di procedura penale, eppure accade ancora.

Accade a Bari, questa volta ai danni dell’avvocato Nicolò Nono Dachille, nella sua veste di difensore di una donna di nazionalità cinese, indagata per contraffazione, detenzione e commercializzazione di materiale contraffatto e ricettazione. I fatti risalgono al 2017, ma sono venuti alla luce solo nei giorni scorsi, quando il penalista ha avuto accesso agli atti dopo la notifica della chiusura delle indagini.

Le telefonate finite nel fascicolo penale sono due, entrambe del 15 febbraio 2017, dai contenuti apparentemente irrilevanti. E riguardano esclusivamente il rapporto fra la donna e il legale. Quel giorno, “Daniela” (il nome italiano utilizzato per indicare la donna cinese), gestore con un’altra persona della ditta individuale “Pan Kouchen”, con sede al Baricentro di Casamassima, aveva ricevuto una ispezione della guardia di finanza, conclusasi con il sequestro di 2.776 scarpe contraffatte, con le griffe Adidas, Saucony e Nike.

La donna allora, telefona all’avvocato Nono Dachille, ma di questa chiamata non c’è traccia negli atti. C’è invece la trascrizione di un’altra telefonata, che il difensore le fa nel pomeriggio, chiedendole se l’ispezione si è conclusa. Lei risponde di sì e gli riferisce che le volevano far firmare qualcosa ma che lei ha detto di voler chiamare prima il suo avvocato.

Nono Dachille le risponde «Brava» e poi le chiede se le hanno lasciato una copia del verbale. E la rassicura: «Non ti preoccupare, non succede niente, stai tranquilla». Poi aggiunge: «Guarda, molto probabilmente torneranno con un interprete». Qualche minuto dopo, il legale la richiama chiedendole se hanno portato via della merce, lei gli dice che no, ma che ci hanno messo un foglio sopra, dei “sigilli”, e allora lui le dice di fare una foto e inviargliela via WhatsApp.

Si esaurisce in queste due telefonate il materiale probatorio che i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria hanno inserito nel fascicolo del pubblico ministero, e che è confluito poi negli atti a chiusura di indagini per 22 persone, 12 delle quali sono ancora sotto inchiesta e i nomi risultano omissati. Oggi il legale non si spiega il perché di questa scelta, e preannuncia azioni a tutela della sua persona: «Il fatto che abbiano messo in grassetto le mie risposte – dice -evidenzia la volontà di mettermi in cattiva luce agli occhi del pm pur in assenza di qualsiasi rafforzamento dell’ipotetico proposito criminoso peraltro già compiuto eventualmente».

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