Detenuto psichiatrico pestato in carcere a Bari: due agenti e il medico vogliono l’abbreviato

Con le richieste di rito abbreviato e la costituzione di parte civile della “vittima” si è aperta ieri l’udienza preliminare a guardie carcerarie e altro personale del carcere di Bari, in tutto 15 persone accusate di torture nei confronti di un detenuto psichiatrico di 41 anni, che il 27 aprile 2022 aveva dato fuoco a un materasso, generando panico in tutta la seconda sezione.

Il 9 novembre 2022 in tre persone finirono ai domiciliari: Domenico Coppi, 59 anni, Giacomo Delia e Raffaele Finestrone entrambi di 58 anni. Per altri due agenti, Antonio Rosati, 56 anni, e Giovanni Spinelli, di 42 anni fu disposta la sospensione dal servizio per 12 mesi, Francesco Ventafridda 54 anni, Michele De Lido 32, Leonardo Ginefra 49 anni, e Vito Sante Orlando di 55, infine, la sospensione per otto mesi. Per quattro minuti, come ricostruiva il gip Giuseppe Montemurro che firmò le misure, il detenuto fu sottoposto a torture, violenza fisica di gruppo, sotto gli occhi complici di chi avrebbe dovuto fermarli, impedire l’orrore dell’accanimento. Quattro minuti di percosse, calci e pugni, tenuto a terra sul pavimento, schiaffeggiato, pestato con calci al volto, al torace, alla schiena, mentre uno di loro, a turno, gli teneva ferme le gambe salendoci sopra con entrambi i piedi.

Sarebbe stato “torturato”, come accusa il gip recependo l’impostazione accusatoria dei pm Carla Spagnolo e Giuseppe Maralfa, mentre lui tentava inutilmente di fermarli con una mano alzata. Poi, raccontano i fotogrammi delle telecamere di sicurezza, trascinato per le braccia fino all’infermeria, dove un “complice” medico di guardia gli avrebbe somministrato un calmante. Non c’è traccia alcuna, nei verbali di quella terribile alba, delle vessazioni che gli avrebbero procurato vistose ecchimosi e tagli. Il medico di turno, così come i tre infermieri che dall’uscio dell’infermeria avrebbero assistito l’aggressione, secondo procura e gip avrebbero taciuto, voltando la testa dall’altra parte. Complici, anche loro, di chi ha commesso un reato così grave.

Le accuse, a vario titolo, spaziano dal reato di tortura, a quello di omissione di atti d’ufficio, abuso d’ufficio e falso. Violata anche la norma dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui si vieta qualsiasi forma di violenza fisica sui detenuti. «Hanno violato il senso dell’onore e morale, rivelando anche mancanza di deontologia professionale», scrivevano nella loro dettagliata denuncia (supportata da filmati e testimonianze) la direttrice del carcere e la comandante della polizia penitenziaria, Valeria Pirè. Nell’udienza di ieri hanno chiesto il rito abbreviato due dei tre agenti, il sovrintendente Domenico Coppi, che assistito dall’avvocato Fabio Schino aveva fatto ammissioni di colpevolezza durante l’interrogatorio di garanzia, e Roberto Macchia, difeso dall’avvocato Gaetano Sassanelli, era accusato di non aver impedito la violenza. Il terzo a chiedere il rito alternativo è il medico Gianluca Palumbo, responsabile quella notte dell’infermeria, e assistito dagli avvocati Giuseppe Serrati e Daniele Imbò. Chiesta anche la messa alla prova preventiva per l’infermiera Maria Giovanna De Palma, difesa dall’avvocato Maurizio Altomare.

Per gli altri 11 la procura ha chiesto il rinvio a giudizio. Si torna in aula il 2 maggio, sempre nell’aula bunker di Bitonto, per la discussione dell’udienza preliminare e l’eventuale ammissione dei tre abbreviati.

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