«Non chiamatela mafia. È politica criminale, è pessima politica, ma non è mafia. E in tutta questa situazione, chi meno ha da guadagnarci a continuare a parlare di Bari e dell’eventualità della mafia a Bari è proprio la camorra barese, che negli anni è sempre stata bravissima a contenere dissidi, spinte violente interne, in nome di un fine comune che è quello del guadagno e della tranquillità».
Dall’omicidio di Lello Capriati, indietro fino all’operazione Codice Interno, che un mese fa ha svelato gli intrecci della criminalità con alcune frange della politica barese, il criminologo Domenico Mortellaro traccia una linea che non è soltanto ideale.
Che sta accadendo a Bari?
«Bari è sotto i riflettori da settimane per una inchiesta che cerca di capire se l’amministrazione, più che la città, abbia problemi di infiltrazione, o di controllo, della criminalità organizzata. La politica ha scelto un altro discorso».
Quale?
«Quello di comodo elettorale: Bari è o no mafiosa? La sinistra dice: “no, noi siamo convinti che non è mafiosa, brutti sporchi e cattivi quelli di destra, che invece stanno facendo di tutto per dire che Bari è una città mafiosa”. A destra ovviamente giocano la partita opposta».
E dunque?
«Per come io conosco la camorra barese, mai e poi mai alzerebbe il tiro in un momento del genere, ingoierebbe rospi indigesti, pur di non alzare il tiro. Peraltro, la storia ultima della famiglia Capriati, mi riferisco all’omicidio di Domenico, il fratello maggiore di Lello, ci h insegnato come dietro questi omicidi eccellenti molto spesso ci siano situazioni criminali ma imponderabili. Per l’omicidio di Domenico Capriati si scoprì poi che era una faida interna al gruppo criminale Capriati».
Quindi cosa ne pensa?
«Più che temere guerre di mafia, che se devono esplodere come risposta a questo omicidio esplodono nelle prossime 24-48 ore, io immagino invece un momento particolare di frizione non ben individuabile che ha trovato, come al solito succede a Bari, un momento clou».
Che intende?
«A Bari si ammazza a Pasquetta, per due ragioni: una, perché il barese criminale ha con il suo territorio un contatto quasi erotico a Pasquetta: deve farsi vedere, deve occupare gli spazi pubblici. L’altra: oltre al simbolismo di colpire un uomo platealmente, in un giorno di festa e sotto gli occhi di tutti, c’è molto banalmente la questione che a Pasquetta circola alcol, le gozzoviglie aiutano a non trattenere più i bassi istinti e ad avere consapevolezza che dall’altra parte le difese sono molto abbassate».
Possiamo ipotizzare la mano di giovani leve?
«Sicuramente dietro questo omicidio non c’è un cervello e una mano molto accorta e competente, questo è sicuro. Il momento è drammaticamente particolare per tutto quello che sta accadendo da un mese a questa parte».
C’è un “ma”?
«È anche vero però che la storia di Lello Capriati è particolare: lui esordisce criminalmente con un errore, per quell’errore si fa quasi 20 anni di galera nei quali non avvia nessun tipo di collaborazione, si fa la galera alla maniera dei Capriati hanno solo un pentito, Mario, poi esce e per 3-4 mesi si trova in interregno con suo nipote, il figlio di Filippo, Sabino, poi anche Sabino finisce in galera e lui rimane nei fatti il primo in linea di successione. Ma criminalmente nella sua vita, e in questi pochi mesi, cosa ha dimostrato, cosa può aver combinato di così grave da arrivare a richiedere un omicidio?».
Ce lo chiediamo.
«Di sicuro la sua storia racconta la storia di un personaggio lontano dall’idea di collaborazione. Quindi chi volesse fare dietrologia sul fatto che avesse segreti sul mondo della politica, è solo una pericolosa suggestione che nelle prossime ore la farà da padrona, per il semplice fatto che la conoscenza del sistema criminale barese in Italia è minima e la ridondanza del cognome Capriati, dal comizio di Emiliano alle foto pubblicate, a questo omicidio crea in questo momento fin troppe suggestioni. Che mi fanno dire ancora di più: sicuramente non è una questione di guerra fra clan».
Abbiamo però registrato altre due sparatorie in pochi giorni a Sannicandro e Carbonara.
«Sannicandro è sempre stata una realtà insignificante nel panorama criminale. Carbonara è invece emblematica, perché è un luogo delicato, per gli equilibri della “federazione Strisciuglio”, perché a Carbonara sta arrivando Sigismondo Strisciuglio dopo una detenzione ventennale, ma Carbonara ha un vecchio e nuovo padrone, indicato da Domenico Strisciuglio come suo emissario, che è Carlo Alberto Baresi: sono entrambi di storica fede strisciugliana, ma è anche vero che appena avuta notizia del ritorno di Sigismondo, sono iniziate queste frizioni. Ricondurre però tutto temporalmente ad un unico calderone mi pare pericoloso e tipico di chi non conosce questo sistema, che non ha voglia di fare clamore».
Cosa ci ha insegnato l’operazione “Codice Interno”?
«Il cittadino barese, esterno a una qualsiasi stanza dei bottoni, ha risposto: “perfetto, scoperta l’acqua calda, applausi, andiamo avanti”. E questa stessa risposta l’ha utilizzata nel dibattito per le dichiarazioni dal palco di Emiliano. È invece sintomatico che una serie di stanze dei bottoni, che secondo le risultanze di questa inchiesta, non potevano non sapere, abbiano pubblicamente gridato allo scandalo. Io sto denunciando da settimane un rischio rispetto a Codice Interno».
Quale?
«Si è cominciato a usare la parola mafia in maniera un po’ troppo estensiva. Questa cosa, negli ultimi anni, con le derive social del complottismo, ha fatto sì che l’utilizzo della parola mafia sia pericolosamente ipertrofico. Codice Interno ci dice due cose: che a Bari c’è un pezzo di politica criminale, che lavora, prima ancora che con la mafia di cui si serve, ripagandola anche male, a contatto con un pezzo della borghesia delle professioni di questa città che è altrettanto spregiudicato e criminale».
Vogliamo parlare dell’Amtab?
«Per una serie di ragioni, ormai da 30 anni le municipalizzate sono inquinate da materiale umano che deriva anche da storie criminali, ma non possiamo imputare a una o all’altra amministrazione il fatto che ospitino nelle loro piante organiche anche persone che arrivano da famiglie criminali».
Ci dica di più.
«Lo smantellamento delle Ccr ha prodotto il fatto che se noi oggi andiamo ad aprire qualsiasi pianta organica della Asl, tra Oss, infermieri, portantini, gestori dei dispensari farmaceutici, troveremo persone che erano iscritte nel file “Mala.doc”».
Cosa significa?
«Che c’è da commissariare le Asl? No. Il problema reale è che all’interno di una municipalizzata come l’Amtab, il peso specifico di un clan criminale diventa così importante da permettersi il lusso di “richiedere” assunzioni a tempo indeterminato. Problema di mancata vigilanza? Sicuramente. Problema di mancata denuncia? Molto di più».
C’è altro?
«Vorrei evidenziare che chi indaga sul Comune ha la nomina prefettizia? In tutto il Paese è giustissimo, a Bari no per quello che è emerso nell’operazione Codice Interno: pensare che una importante funzionaria della Prefettura decida per un cavallo di ritorno di rivolgersi a un clan e di utilizzare un telefonino riservato del ministero degli Interni, denuncia quanto colabrodo siamo in termini di sicurezza, in un ganglio importante come quello della Prefettura».
In definitiva cosa ci ha insegnato?
«Codice Interno tira fuori che Bari è una città in cui la spregiudicatezza è insita nel Dna di tutti. E c’è gente che da sempre utilizza la spregiudicatezza per il proprio tornaconto. Qui c’è un problema reale: conviene utilizzare non solo il 416 bis ma tutti gli altri articoli che il codice penale ci mette a disposizione per perseguire tanto i criminali politici quanto i professionisti infedeli. La mafia è una cosa precisa e questa non è mafia, questa è pessima politica, politica criminale, ma non è mafia».